«La Turchia è il paese dei complotti e delle dietrologie e
sono già in molti a pensare che questo che alcuni definiscono il minigolpe in
realtà sia il golpe fasullo».
Paolo Magri, direttore dell’Ispi (istituto per
gli studi di politica) spiega che «è il golpe fasullo perché analizzando il cui
prodest di questo colpo di Stato, il grande vincitore, nelle prossime settimane,
potrebbe essere Erdogan. Il quale, con la scusa della reazione al golpe, potrà proseguire
nell’epurazione degli oppositori - sia nella magistratura che nell’esercito che
nelle istituzioni - che ha già avviato negli ultimi quattro-cinque anni».
In poche ore ha già arrestato molti magistrati.
«Tremila rimossi o addirittura arrestati. Già questo numero
ci dà il segnale di questa linea che ho ipotizzato».
La Merkel ha chiesto che sia rispettato lo stato di diritto
nel dopo golpe. Quali pressioni si possono esercitare su Erdogan?
«Nulla, nel senso che uno degli aspetti della graduale
deriva di Erdogan e del suo sistema di potere in questi anni è stata proprio la
crescente insofferenza nei confronti di ogni anche morbida interferenza
esterna. A un certo punto, nei mesi scorsi, Erdogan se l’è presa con le società
di rating, con le multinazionali, con le banche definite “la banda del tasso di
interesse”. Questo avviene nei regimi o nei sistemi politici
che vanno verso un regime. C’è una profonda ritrosia e avversione nei confronti di ogni tipo di velata
interferenza esterna».
Le conseguenze nel medio e, soprattutto, nel lungo termine
quali potrebbero essere?
«Delle conseguenze, come dicevamo, una è l'ulteriore
polarizzazione della politica turca con un Erdogan che ha il sostegno di metà
della popolazione turca – non dobbiamo dimenticarlo – un Erdogan che con il
sostegno di questa metà della popolazione tenterà di estromettere da ogni
istituzione i suoi oppositori: i media, il mondo economico (come già sta
facendo e ha fatto), l’esercito, sino ad arrivare al parlamento e agli altri
organi della società. Questa è la prima conseguenza. E potrebbe arrivare a
sancire questa trasformazione con l’annosa e mai riuscita riforma
costituzionale che conferirebbe al
presidente – che oggi ha un ruolo simile a quello dell’Italia, un po’ più
di cornice che di potere effettivo – più poteri con la trasformazione del sistema turco in una
repubblica presidenziale. Forse ci sarà un ulteriore raffreddamento del rapporto
con gli Stati Uniti, rapporti per altro già tesi, perché, come sta emergendo,
vengono considerati dal governo turco come i fiancheggiatori di Gulen. Essendo Gulen
considerato da Erdogan l’ideatore del colpo di Stato».
Potrebbe davvero esserci lui dietro il golpe?
«Che Gulen sia dietro il colpo di Stato è una ipotesi poco
credibile, ma che dà a Erdogan l’opportunità di rivestire con una cornice
ideologica questo raffreddamento con gli Usa, che sono stati per decenni il
principale alleato della Turchia».
E per quanto riguarda le conseguenze sui rapporti con l’Europa?
«Le cancellerie europee sono state molto caute nel valutare
le conseguenze del golpe mentre era in corso. Potrebbe verificarsi una situazione
in cui Erdogan, avendo già aperti fronti interni tumultuosi, possa decidere di
normalizzare o migliorare i rapporti con l’Europa. Quello che ha fatto nelle
scorse settimane con Israele e con la Russia e, in parte con la Siria, potrebbe estendersi all’Europa.
La vera domanda è quanto l’Europa, un’Europa che fosse salda sui suoi principi
e sui suoi valori, sarà pronta nell’intensificare i rapporti con una Turchia
che si mostra destabilizzata e, lo vedremo nelle prossime settimane, assisterà
a ulteriori violazioni dei diritti umani».
Si sono interrotti i bombardamenti contro l’Isis?
«In realtà Erdogan di bombardamenti contro l’Isis ne ha fatti
ben pochi. Ha bombardato soprattutto i curdi, in Siria. Se avessero vinto i
golpisti, su quel fronte, probabilmente, avremmo assistito a dei cambiamenti
significativi. Un governo dei militari, se i militari fossero quelli secolari e
non la parte militare vicina a Gulen, avrebbe sicuramente modificato i rapporti
con gli antagonisti di Assad fra i quali ci sono anche dei gruppi che noi
definiamo terroristi».
Da questo punto di vista sarebbe stato meglio se il golpe
fosse riuscito?
«Le cancellerie occidentali sono state caute a reagire
perché volevano notizie. Nessuna può dichiararlo, ma io non mi sento di
escludere che in qualche cancelleria qualcuno tifasse per una alternativa a Erdogan.
La scelta che hanno avuto le cancellerie, nella notte del fallito golpe, era
quella se sostenere un governo crescentemente non democratico o se sostenere un
golpe chiaramente non democratico. Ma abbiamo visto in altri Paesi che la
politica internazionale è fatta anche di valutazioni caso per caso che non
necessariamente tengono conto delle regole democratiche».
L’accordo Ue Turchia sui migranti, che si basava anche sul
fatto che la Turchia fosse un terzo Paese sicuro, viene de facto annullato?
«Non credo che si possa valutare oggi. Bisogna capire che
cosa succederà nella Turchia dei prossimi giorni. Intanto, paradossalmente, la
Turchia potrebbe diventare, con il pugno duro di Erdogan, un Paese ancora più
sicuro e normalizzato. Il punto debole che c’era e che ci sarà ancor di più in
futuro è che l’accordo viene fatto con un Paese le cui credenziali di rispetto
dei diritti umani non sono così splendenti. Ma questo, per onestà intellettuale
occorre dirlo, era già vero quando l’accordo è stato firmato».
Cosa si augura succeda nelle prossime settimane?
«Se questo fosse un golpe vero – e non ho elementi per dire
qualcosa di diverso – e passasse a Erdogan un segnale di vittoria, perché ha vinto,
vorrei che si rendesse conto anche di una potenziale fragilità che lo porti a rivedere alcuni eccessi
della sua politica. Questo potrebbe essere un evento salutare. Purtroppo non ho
ottimismo su questa diagnosi perché quello che abbiamo visto dell’Erdogan dei
primi anni – leader illuminato, moderato , trasformatore della realtà della
Turchia – non corrisponde più all’Erdogan di questi ultimi anni. In questi
ultimi anni vediamo un Erdogan ossessionato dal timore degli oppositori, visti
tutti come possibili complottisti, chiuso sempre di più nel cerchio dei suoi
fedelissimi e nel suo palazzo e che ha perso la capacità di dialogare con l’altro
50 per cento della Turchia che non lo ha votato e che però, nei primi anni, lo
ha sostenuto visti i risultati innegabili che dal punto di vista economico lui
ha ottenuto».