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mercoledì 25 giugno 2025
 
 

Paolo Poli: "Leggo i Promessi Sposi e adoro don Abbondio"

15/10/2015  Il grande attore ha realizzato un audiolibro sul capolavoro di Manzoni. Un'occasione per parlare con lui del suo mestiere e del tempo che passa, sempre con la sua caustica ironia.

Lo abbiamo visto quest'estate in E lasciatemi divertire (citazione dell'amico Aldo Palazzeschi), otto puntate tra vizi capitali e virtù, su Raitre, dopo quarant'anni di assenza dalla tv. Lo ritroviamo raffinato interprete dell'audiolibro de I Promessi sposi (3 cd mp3, Emons, € 19,90), uscito il 15 ottobre, un progetto di rilettura dei classici ad opera dei più grandi attori o degli stessi autori. Precedentemente lo avevamo apprezzato nella lettura di un altro audiolibro Emons, La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene, di Pellegrino Artusi. Lui è Paolo Poli, 86 anni compiuti, meraviglioso e spiccato accento fiorentino, una vita in scena tra teatro, cinema, tv, radio, letture, poesie. Vate del teatro dalla vena poetica e surreale, dal garbo pungente, dalla sublime perfidia dosata a regola d'arte. Personaggio da quinto girone dantesco per la sua maliziosa superbia, che lui stesso riconosce mentre ci fa sapere che non ama per niente le interviste. La sua è una comicità brillante, spesso en travestì, giocata su visioni oniriche e doppi sensi eleganti.  

 Innanzitutto, si è anche divertito nella lettura dell'audiolibro?
"Il lavoro non è mai un divertimento. E non è neppure uno stato d'animo: non è che mi è venuta l'ispirazione. Così come Raffaello: gli era stato commissionato un lavoro di decoro da Papa Giulio II. E l'ha fatto per portare a casa la pagnotta. Quando si parla di letteratura, a volte si pensa romanticamente all'ispirazione. Ma non è così, sono cascami del secolo scorso: la vita è dura e il lavoro è un impegno faticoso. Fatto volentieri, ma con stanchezza perché sono vecchio e ci vedo poco, il segreto è fare in modo che la fatica non si senta".

Cosa apprezza di più di questa lettura?
"È un classico dell'Ottocento, il primo romanzo moderno d'Italia, ma io preferisco il personaggio di Pinocchio così somigliante a quelli di Charles Dickens: ci ha portati in giro per il mondo, ci ha fatti conoscere, mentre Renzo e Lucia non sono piaciuti moltissimo, e lo dice uno che ha insegnato per un anno al liceo, e non nel '68 ma già nel '58. Piaceva di più Walter Scott. Ma la lingua italiana che Manzoni ha inventato in questo libro è magnifica, di grande musicalità. L'Addio ai monti è una pagina grandiosa, di un lirismo potente. Invece il parlato dei personaggi principali è ridotto ai minimi termini perché è un falso in atto pubblico: Manzoni fa parlare in toscano i contadini del lago di Como, ma lui tendeva all'unità dell'Italia attraverso la lingua di Dante".

Riuscendoci.
"Questo libro ha superato le tempeste della storia. Gli insegnanti nelle scuole erano i religiosi, che si sono impossessati dei Promessi sposi, mentre il protagonista secondo me è Don Abbondio, un prete con difetti simpaticissimi: sì un vile, ma almeno è un personaggio vero, al contrario di Renzo e Lucia, due bambolotti buoni e noiosissimi".

Non le piacciono i buoni?
"A me piacciono moltissimo i buoni, ma se avessi scritto io qualcosa sarebbe stato Madame Bovary. I promessi sposi cominciano con il fidanzamento e finiscono con il matrimonio, Madame Bovary comincia con il matrimonio e finisce con l'arsenico: molto meglio".

De I promessi sposi ha un ricordo scolastico?
"L'ho studiato anche all'università, in tutte le versioni. L'ho letto per la prima volta a otto anni, nell'edizione Salani che recitava: "Se è noioso il racconto delle grida dei bravi saltate a pag.22”, cosa che ho fatto. A causa della scarlattina sono stato due mesi chiuso in una stanza per non contagiare i miei fratelli, e così ho letto perfino I promessi sposi".
Quale personaggio avrebbe potuto incarnare?
"Nessun personaggio letterario, ho scelto un mestiere in cui mi vestivo in mille modi diversi dimenticando la mia modesta persona piccolo borghese. Il teatro ti fa spaziare: uno, nessuno, centomila".
Rimpiange qualcosa del suo passato?
"Per arrivare a questa tarda età bisogna farne di tutti i colori. Più che altro mi piaceva il teatro: direttamente dal produttore al consumatore. L'applauso è la paga vera di un attore, oltre ai soldi che a volte arrivano e altre no".
Quanti anni si sente?
"Quelli che ho, né più né meno. Non mi cavo gli anni come certi che si vogliono sentire sempre giovani. Io sono vecchio e ne sono felice. Mi piacciono la vecchia Europa e i vecchi libri. È l'America che dice “bevi giovane, vesti giovane”. Per carità, ho avuto tanta malinconia da ragazzo con “giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza”: il fascismo e la sua idea della“maschia gioventù con romana volontà”".

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