Ci sono canzoni che più di altre rimangono nel cuore della gente: una di queste è stata senza dubbio La forza della vita di Paolo Vallesi, il cantautore toscano che si era imposto all’attenzione del pubblico al Festival di Sanremo 1991 con il brano Le persone inutili e che poi l’anno successivo proprio con La forza della vita era arrivato terzo. Uscito un po’ dalle scene per qualche anno, ha partecipato alla seconda edizione del talent di Rai1 Ora o mai più, seguito dalla coach Ornella Vanoni. Sin dalle prime puntate ha conquistato sia la giuria di esperti sia il pubblico da casa, aggiudicandosi così la vittoria. E il premio è stato la realizzazione di un cd contenente l’inedito Ritrovarsi ancora (presentato nella serata conclusiva della trasmissione), vecchi successi e alcune cover proposte nell’arco delle puntate. Le sue canzoni sono contraddistinte da valori forti, frutto anche della sua fede.
Vallesi, come vive questo momento dopo la vittoria di Ora o mai più?
«Benissimo, preso da mille impegni e sempre un po’ disorganizzato, com’è mia abitudine. Ora sto per entrare all’università di Parma per raccontare la storia della Nazionale cantanti, la mia grande passione».
In realtà a differenza di altri concorrenti, lei non si era mai del tutto ritirato dalla scene?
«Non ho mai smesso di fare musica, e da poco avevo pubblicato un album. Ma non andavo spesso in tv, e agli occhi del grande pubblico ero un po’ scomparso. Per questo ho deciso di rimettermi in gioco».
Ci sono stati momenti difficili in questi anni?
«Sono sempre stato un musicista e non ho mai avuto voglia di mollare. Ho iniziato come pianista e poi sono diventato un cantautore, e ho anche lavorato come produttore di altri cantanti e come autore di colonne sonore. Fare musica è il mio sogno da quando ero bambino, e già dalla prima volta in cui suonai, in una pizzeria a Firenze, capii che era la mia strada».
Che ruolo ha avuto la fede nel suo percorso artistico e di vita?
«Per me la religione è un argomento importante, sono per natura curioso, e mi sono sempre fatto tante domande. Che mi hanno spinto anche a recarmi a Medjugorie, a Fatima e a Lourdes».
Che impressioni ha ricevuto da questi luoghi?
«Sono luoghi importanti, dove si respira una grande gioia, dove si capisce che le persone che vi si recano hanno dolori e speranze comuni, e lo scopo di lasciare un segno. Mi piace di meno la dimensione commerciale che ruota attorno ai luoghi santi. Il mio obiettivo è quello di trovare il silenzio e la preghiera».
La sua canzone più famosa, La forza della vita, può essere riconducibile ai valori cristiani?
«Sì, anche se si parla di una forza vitale che è dentro di noi, più forte della persona stessa. Quando le difficoltà ci sembrano insormontabili c’è qualcosa di più grande di noi che ci viene in soccorso. In questi anni molte persone mi hanno testimoniato che grazie a questa canzone hanno superato i loro problemi».
Le è capitato di scrivere testi con riferimenti alla spiritualità?
«Ho scritto una canzone dal titolo in apparenza ambiguo, Non credo, dove si dice che non basta credere ai dogmi cristiani, ma occorre avere uno stile di vita cristiano. Io mi voglio ispirare agli insegnamenti di Gesù che sono validi per tutti, sono universali».
Nella canzone Pace dice: «Pace in nome dell’amore e della libertà, la pace per ritornare a dare senso a questa umanità».
«L’ho scritta con la cantante Amara e l’abbiamo interpretata a Sanremo 2017 in qualità di ospiti. Credo che “pace” sia una parola troppo grossa, è utopico pretendere di portare la pace nel mondo. Ma trovare la pace dentro di sé è alla nostra portata, e questo genera un effetto a macchia d’olio intorno a noi».
Ci sono dei luoghi sacri per lei speciali?
«Sicuramente il Duomo di Firenze, la mia città. Ma soprattutto la chiesa di via Allori, dove ho trascorso molto tempo da ragazzo. Allora le chiese erano luoghi di ritrovo. Ricordo che sotto la chiesa c’era un cineforum dove con la mia band a 14 anni ho eseguito le mie prime canzoni. Il parroco don Rugiadi era per noi una persona di riferimento. La mia adolescenza è stata segnata da un avvenimento molto brutto, la morte improvvisa per un ictus di un amico di 16 anni, che era anche il chitarrista della band. Noi ragazzi non ci staccavamo dalle sue spoglie, e il parroco ci disse: “Perché state lì con lui che tanto non è più in vita”. Quelle parole allora mi ferirono ma poi ho capito: solo il suo corpo era lì, ma la sua anima era altrove e che la sua vita doveva proseguire dentro di noi... E infatti ancora oggi di lui ho un ricordo vivo».
Lei in passato ha anche partecipato alla Giornata mondiale della gioventù. Che tipo di esperienza è stata?
«Ero legato all’associazione Giovanni Paolo II e ho fatto tanti incontri con i ragazzi. Ma suonare a Toronto nel 2002 davanti al Papa è stata un’esperienza bellissima. Si respirava un’atmosfera di serenità e pace. Cantavo di fronte a giovani di tutto il mondo».
Nella sua vita c’è spazio anche per l’impegno umanitario: in rappresentanza della Nazionale cantanti è andato di recente in Burkina Faso…
«Ci sono stato lo scorso anno per quindici giorni con don Andrea Cristiani del movimento
Shalom. Era la prima volta che andavo in Africa. È il settimo Paese più povero al mondo, dove le persone sono tranquille e buone. Purtroppo è al crocevia del traffico di armi. Lì il movimento
Shalom ha costruito una scuola solo per ragazze, che altrimenti non avrebbero la possibilità di studiare. Quando ero lì, ci fu una Messa a cui ha assistito anche un imam. Io portavo i soldi raccolti in due partite della Nazionale cantanti, destinati alla costruzione di 100 pozzi. Nei villaggi non esiste l’acqua potabile e si propagano le malattie. I nostri pozzi attingono l’acqua a 100 metri di profondità salvando centinaia di bambini. Una delle immagini più belle che conservo è stato proprio il primo zampillo di questa acqua, simbolo di vita».