Paolo VI guardava lontano. Sapeva
scrutare a fondo alcuni fenomeni che investono, a volte in modo
tragico, la società dei nostri giorni. Fa riflettere, ad esempio, la
sua costante attenzione verso i migranti. Ce lo ricorda, in occasione
della beatificazione, monsignor Gian Carlo Perego, direttore generale
della fondazione Migrantes. «Il Pontificato di Paolo VI - scrive il
prelato - è caratterizzato non solo da una ricchezza
magisteriale di riferimenti al tema delle migrazioni e della mobilità
umana, ma anche da una vera e propria riorganizzazione della
pastorale migratoria, alla luce dell’ecclesiologia conciliare».
Lo stesso Paolo VI faceva corrispondere
«a questa mobilità del mondo contemporaneo la mobilità della
pastorale della Chiesa».
Un pensiero articolato, reso esplicito con
il motu proprio Apostolicae Caritatis del 1970. Il documento
evidenzia come il campo della cura pastorale si sia «allargato al
massimo nella nostra età, nella quale, grazie al mirabile sviluppo
della tecnologia, sono diventati molto facili i viaggi di qualsiasi
genere e si sono straordinariamente intensificati i reciproci
rapporti tra cittadini e nazioni, ed i contatti tra gli uomini.
Proprio per questo l’azione pastorale dev’essere rivolta non
soltanto a coloro che vivono entro i limiti ben definiti delle
parrocchie, delle associazioni e di altri istituti similari, ma anche
a coloro che di propria scelta o per qualche necessità lasciano i
loro luoghi di residenza. Bisogna, inoltre, esaminare da un punto di
vista scientifico, stabilendo anche opportune intese, quali siano le
cause di tale fenomeno e le loro conseguenze, per vedere poi come
questi uomini, che si spostano e si muovono, possano essere aiutati
nel loro progresso umano e religioso, e da quali pericoli debbano
essere difesi».
Come osserva monsignor Perego, in quest'ottica la
vicinanza ai migranti va ben al di là di un semplice sostegno
materiale. Si fa strada, tra l'altro, «la necessità che la cura
pastorale tenga in debita considerazione il patrimonio spirituale e
culturale dei migranti».
E naturalmente a Paolo VI non
sfuggirono le implicazioni, che già ai suoi tempi si stavano facendo
drammatiche, dei grandi spostamenti di massa dal Sud verso il Nord
del mondo e dalle zone rurali verso le città. Nell'enciclica
Populorum Progressio il Pontefice analizza il rapporto tra tutela
delle migrazioni e sviluppo.
Nella lettera apostolica Octogesima
adveniens, poi, dedica una riflessione a profughi e migranti
discriminati «a causa della loro razza, della loro origine, del loro
colore, della loro cultura, del loro sesso o della loro religione»,
facendosi promotore di «uno statuto che riconosca un diritto
all’emigrazione, favorisca la loro integrazione, faciliti la loro
promozione professionale e consenta a essi l’accesso a un alloggio
decente, dove, occorrendo, possano essere raggiunti dalle loro
famiglie».
Coerentemente con queste affermazioni,
Montini rinnovò profondamente le strutture pastorali esistenti e ne
creò di nuove: ad esempio, nel 1965, istituì l’Opera
dell’Apostolato dei Nomadi.
Ecco perché secondo monsignor Perego
«la beatificazione di Paolo VI ripropone parole e gesti di un
Pontefice che ha posto al centro dell’azione pastorale la tutela
della dignità di ogni persona, anche migrante».