Dialogo con il mondo, fiducia nell’umanità, sforzo di una Chiesa aperta che esce per incontrare l’altro, primato della Parola. A cinquant’anni dalla elezione al soglio pontificio, avvenuta il 21 giugno 1963, l’eredità di Paolo VI è ben viva. A Brescia, innanzitutto, e a Concesio, dove nacque, nella residenza estiva della famiglia, il 26 settembre 1897. Ma poi anche nelle missioni che papa Montini incoraggiò in tutto il mondo inviando sacerdoti fidei donum e poi famiglie, religiose e religiosi,giovani volontari. Il suo pensiero e la sua opera sono ben presenti nella Chiesa tutta dove il segno del concilio Vaticano II – che Paolo VI prese in mano e portò a compimento dopo la morte di Giovanni XXIII – continua a radicarsi e a portare frutti.
«Lo stesso pontificato di papa Bergoglio non sarebbe del tutto comprensibile senza far riferimento ad alcuni gesti che PaoloVI ha compiuto. La sobrietà, innanzitutto, la semplificazione di molti apparati, della liturgia», spiega don Angelo Maffeis, presidente dell’Istituto Paolo VI di Concesio, il centro sorto subito dopo la morte di Giovanni Battista Montini per studiarne i documenti e approfondirne il pensiero. «Negli anniversari dei 50 anni dell’elezione a Papa e del concilio Vaticano II mi sembra importante sottolineare, tra i tanti aspetti della complessità di questa figura, come sia stato proprio il suo condurre a compimento l’assise convocata da Giovanni XXIII prendendo parte anche alla stesura dei documenti la sua opera fondamentale», insiste don Maffeis.
«Il cristianesimo», amava ripetere papa Montini, «non è facile, ma è felice».
Che sottolinea l’importanza, in particolare, dell’esortazione del 1975, l' Evangelii nuntiandi, e di «una Chiesa che esce verso il mondo, che entra in dialogo come tratto molto presente e caratteristico di Paolo VI.
Un tratto che si può riconoscere chiaramente anche nelle parole di papa
Francesco quando dice della necessità che la Chiesa esca dal proprio
ambiente e vada verso le periferie del mondo». Un filo rosso che lega i
due Papi e che la diocesi di Brescia, guidata dal vescovo Luciano Monari, non mancherà di sottolineare nel pellegrinaggio che porterà a Roma, il 22 giugno, oltre4.200 fedeli.
Quasi
un gemellaggio, una sintonia che affonda in radici lontane. Paolo VI,
che compie gli studi ginnasiali proprio dai Gesuiti, che chiede alla sua
diocesi, come regalo per l’elezione, di fondare e sostenere una
missione, oggi ancora attiva, a Kiremba, in Burundi,che comincia a
innovare le istituzioni e a mettere in rapporto l’annuncio cristiano con
la cultura moderna, sembra aver lasciato in dote al nuovo Papa ben più
dell’anello d’argento che Bergoglio porta al dito. Una dote che
l’episcopato latinoamericano, grazie anche al cardinale di Buenos Aires,
Antonio Quarracino, ha ben coltivato sollecitando, nel 1992 (pochi mesi
dopo la richiesta della Conferenza episcopale italiana), l’apertura
della causa di beatificazione.
Causa che va avanti, dopo il decreto di
riconoscimento delle virtù promulgato lo scorso 20 dicembre. E anche se è
impossibile al momento indicare una data precisa,in molti sono
fiduciosi che la beatificazione potrebbe avvenire nella prossima
primavera, dopo che il miracolo sarà passato all’esame della
commissione medica, e poi di quella teologica. L’intercessione
attribuita a Paolo VI riguarda la presunta guarigione di un feto
gravemente compromesso e che oggi è diventato un ragazzo di 12 anni. Un
miracolo della vita per un Papa che la vita ha predicato e difeso.
Avendo sempre in mente la difficoltà del cammino e la chiamata alla
gioia e alla santità.Una chiamata che, ci ricorda padre Leonardo
Sapienza nel libro sulla sua dottrina Paolo VI. L’anno della fede
(Edizioni Vivere In), può essere sintetizzata con le sue stesse parole:
«Il cristianesimo», amava ripetere papa Montini, «non è facile, ma è
felice».