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domenica 23 marzo 2025
 
 

Paolo VI nelle parole dei suoi successori

18/10/2014 

GIOVANNI PAOLO I   

« Giusto un mese fa, a Castelgandolfo, moriva Paolo VI, un grande Pontefice, che ha reso alla Chiesa, in 15 anni, servizi enormi. Gli effetti si vedono in parte già adesso, ma io credo che si vedranno specialmente nel futuro. Ogni mercoledì egli veniva qui e parlava alla gente. Nel Sinodo 1977 parecchi vescovi hanno detto: “I discorsi di Papa Paolo del mercoledì sono una vera catechesi adatta al mondo moderno”. Io cercherò di imitarlo, nella speranza di poter anch'io, in qualche maniera, aiutare la gente a diventare più buona».
Udienza generale, mercoledì 6 settembre 1978   

«Come vuoi essere chiamato?», gli era stato chiesto quindici anni fa al termine del Conclave. E lui: «Mi chiamerò Paolo». Chi lo conosceva, ci avrebbe giurato che la scelta del nome sarebbe stata quella. Da sempre Montini era stato un appassionato degli scritti, della vita, del dinamismo del grande Apostolo delle genti. E visse la sua “paolinità” per intero e fino all’ultimo. Il 29 giugno scorso parlò dei quindici anni del suo pontificato; fece sue le parole che san Paolo, anche lui prossimo alla fine, aveva scritto a Timoteo: «Ho conservato e difeso la fede» (2Tm 4, 7). La fede da conservare e da difendere fu il primo punto del suo programma».
Omelia del cardinale Albino Luciani nella Messa di suffragio per Paolo VI -  Venezia, Basilica di San Marco, 9 agosto 1978 


                                                           GIOVANNI PAOLO II

«Paolo VI è stato un dono del Signore anche all’umanità. Capì l’uomo del nostro tempo, e lo amò di un amore soprannaturale, guardandolo cioè con gli occhi misericordiosi di Cristo. Aprendo la quarta sessione, dopo aver definito il Concilio “un atto solenne d’amore per l’umanità”, proseguiva: “Ancora, e soprattutto, amore; amore agli uomini d’oggi, quali sono, dove sono, a tutti” (14 settembre 1965). La sua intelligenza e cultura gli diedero un senso acuto della grandezza e della miseria dell’uomo in una situazione contraddittoria come quella della nostra generazione; ma la sua fede e carità gli ispirarono quella “civiltà dell’amore” senza la quale, oggi come non mai, l’umanità difficilmente potrà trovare la soluzione ai problemi che la turbano profondamente. Capì l’uomo, perché lo guardò con gli occhi di Cristo. Aiutò l’uomo, perché l’amò con l’amore di Cristo. Servì l’uomo, perché gli indicò la verità di Cristo in tutta la sua pienezza».
Discorso all'inaugurazione dell'Istituto Paolo VI - Brescia - Domenica, 26 settembre 1982

                                                                 BENEDETTO XVI 

«
Paolo VI definì se stesso “vecchio amico dei giovani”: sapeva riconoscere e condividere il loro tormento quando si dibattono tra la voglia di vivere, il bisogno di certezza, l’anelito all’amore, e il senso di smarrimento, la tentazione dello scetticismo, l’esperienza della delusione. Aveva imparato a comprenderne l’animo e ricordava che l’indifferenza agnostica del pensiero attuale, il pessimismo critico, l’ideologia materialista del progresso sociale non bastano allo spirito, aperto a ben altri orizzonti di verità e di vita. Oggi, come allora, emerge nelle nuove generazioni una ineludibile domanda di significato, una ricerca di rapporti umani autentici. Diceva Paolo VI: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”. Maestro di vita e coraggioso testimone di speranza è stato questo mio venerato Predecessore, non sempre capito, anzi più di qualche volta avversato e isolato da movimenti culturali allora dominanti. Ma, solido anche se fragile fisicamente, ha condotto senza tentennamenti la Chiesa; non ha perso mai la fiducia nei giovani, rinnovando loro, e non solo a loro, l’invito a fidarsi di Cristo e a seguirlo sulla strada del Vangelo». Auditorium Vittorio Montini dell’Istituto Paolo VI - Concesio Domenica, 8 novembre 2009

                                                                     PAPA FRANCESCO  

«Paolo VI ha vissuto in pieno il travaglio della Chiesa dopo il Vaticano II, le luci, le speranze, le tensioni. Ha amato la Chiesa e si è speso per lei senza riserve. Nel Pensiero alla morte scriveva: «Vorrei abbracciarla, salutarla, amarla in ogni essere che la compone, in ogni Vescovo e Sacerdote che la assiste e la guida, in ogni anima che la vive e la illustra». E nel Testamento si rivolgeva a lei con queste parole: «Ricevi col mio benedicente saluto il mio supremo atto di amore!». Questo è il cuore di un vero Pastore, di un autentico cristiano, di un uomo capace di amare! Paolo VI aveva una visione ben chiara che la Chiesa è una Madre che porta Cristo e porta a Cristo. Nell’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi – per me il documento pastorale più grande che è stato scritto fino a oggi  – poneva questa domanda:«Dopo il Concilio e grazie al Concilio, che è stato per essa un’ora di Dio in questo scorcio della storia, la Chiesa si sente o no più adatta ad annunziare il Vangelo e ad inserirlo nel cuore dell’uomo con convinzione, libertà di spirito ed efficacia?».
Discorso ai partecipanti ai partecipanti al pellegrinaggio della diocesi di Brescia - Basilica Vaticana Sabato, 22 giugno 2013    


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