Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
domenica 06 ottobre 2024
 
Al cinema
 

Paolo Virzì, elogio alla follia: «Diamoci tutti alla pazza gioia»

24/05/2016  Due donne, il male di vivere e l’inadeguatezza della sanità. È il tema dell’ultimo film del regista toscano: «una passeggiata in quel manicomio che è l’Italia»

Due donne diversissime, eppure non distanti. Anzi, sempre più vicine. La prima bionda, aristocratica, esuberante, sicura di sé e forte del suo vissuto. L’altra mora, più giovane ma sfiorita, ripiegata su sé stessa, tatuaggi dark sparsi per il corpo, malinconia che trasuda dalla pelle. Ad accomunarle un luogo: Villa Biondi, casa di cura psichiatrica. E la condizione: anche se la prima era stata un dì la ricca padrona di casa, ora sono entrambe internate. Beatrice e Donatella, protagoniste de La pazza gioia, il film con cui Paolo Virzì è stato per la prima volta ufficialmente a Cannes nella sezione Quinzaine des Réalisateurs, lo spazio più vivace e scapigliato del Festival. «Finora sulla Croisette c’ero stato da spettatore», dice Virzì, 52 anni. «Waintrop, boss della Quinzaine, mi ha invitato con una bella lettera che mi ha convinto a posticipare l’uscita del film pur di non perdere una prestigiosa vetrina».

I grandi festival hanno ancora un ruolo importante?

«Trovo che Cannes sia da sempre la messinscena perfetta per far credere al mondo una strepitosa bugia: che il cinema sia la cosa più importante di tutte. Addirittura, irrinunciabile».

Usando come passepartout la commedia, lei è il regista che meglio ha descritto le contraddizioni dell’italiano moderno.

«C’è chi mi accosta a Risi o Monicelli ed essendo stato io allievo di un grande sceneggiatore come Furio Scarpelli, la cosa mi piace. Se c’è però un regista a cui mi sento vicino è Antonio Pietrangeli: Io la conoscevo bene è un capolavoro».

Spesso sono le donne protagoniste dei suoi film. Da dove viene questa sensibilità?


«Sia sul piano letterario che su quello cinematografico, ho un debole per i personaggi femminili. Da ragazzino, leggevo i romanzi di Dickens e Jack London ma anche quelli di Jane Austen o Piccole donne. Qualcuno la prenderà come un’eresia, ma preferisco Jane Campion a Kubrick. Per La pazza gioia, però, mi sono fatto aiutare da Francesca Archibugi».

Con la sua società Motorino Amaranto, la Archibugi ha prodotto “Il nome del figlio”. In cambio, lei ha collaborato al suo copione...

«La verità è che siamo amici e professionalmente siamo cresciuti insieme. Francesca poi, che ha girato Il grande cocomero, sa quanto siano delicati i temi neuropsichiatrici».

Beatrice e Donatella sono asociali, perciò sottoposte a custodia giudiziaria. Ma cosa avranno mai fatto di tanto grave?

«Chi guarda lo scopre attraverso i racconti smozzicati che l’una fa all’altra con il tramutarsi in amicizia dall’iniziale diffidenza. E man mano che si alternano episodi, ora buffi ora toccanti, in un’occasionale fuga alla ricerca della libertà. Anzi, di felicità. Istrionica e loquace. Beatrice è a suo agio nel mondo, ma la famiglia l’ha interdetta. Per la relazione adulterina con un delinquente profittatore nelle cui braccia l’ha spinta il marito fedifrago. Ma anche perché sperperava il denaro del casato. Donatella invece viene dai bassifondi, da genitori assenti per incapacità e indigenza. Circuita dal volgare gestore di un locale della Versilia, ha avuto un bimbo. Ora però è sola e sul suo dossier si legge le notazione di un grave reato. Sarà l’incontenibile Beatrice a invadere il suo mondo, per poi lasciarsi scoprire a sua volta. Solo chi ha subito certe cose può capire… Tra l’incipit tipo Qualcuno volò sul nido del cuculo e momenti alla Thelma & Louise (ma più amari) il film di Virzì guida lo spettatore nei meandri dell’anima. E cattura grazie alle superbe interpretazioni di Valeria Bruni Tedeschi (l’aristocratica Beatrice) e Micaela Ramazzotti (Donatella)».

Qual è stata la scintilla da cui è nato “La pazza gioia”?

«Un’immagine sul set de Il capitale umano. Stavamo girando nel parco della villa, in Brianza. Freddo, fango dappertutto. A sorpresa si presenta mia moglie Micaela: è il mio compleanno. Io sono alla cinepresa: la accoglie Valeria, nello svolazzante costume di scena di Carla Bernaschi. Da lontano le vedo parlare, complici, diversissime. Mi dico: devo fare un film con quelle lì, così brave. Quanto alla pazzia, già Il capitale umano mostrava le psicosi dietro opulenza e perbenismo. Racconto in commedia solitudine e disperazione».

Donatella e Beatrice non sono pazze. Si parteggia per loro.

«Più che alla cartella clinica, m’interesso alle peripezie di due donne dalle vite inguaiate. Basta poco e si è bollati come pazzi. Punto l’obiettivo sull’inadeguatezza della risposta della Sanità italiana al mal di vivere. A quarant’anni dalla Legge Basaglia, si è giunti alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, gli OPG. Ma molti internati sono ancora là perché non si sa a chi affidarli. E gli altri si trovano in istituti come Villa Biondi: costretti da quelle camicie di forza chimiche che sono i medicinali stordenti, impegnati a intrecciare giunchi o a curare orti, purché restino fuori dalla vista dei cosiddetti sani».

Delicato è il tema della maternità negata a una madre con problemi. Nel caso Martina Levato, lei le darebbe il figlio?

«Alt. Il film racconta le storie di due personaggi, non detta giudizi. Ogni caso fa storia a sé, va vagliato. Comunque, la follia non mi spaventa. Mi fa più paura chi ne ha paura».

Non tutto però va così male. C’è l’impegno dei volontari…

«Frutto di buona volontà dei singoli. La pazza gioia è una passeggiata in quel manicomio a cielo aperto che è l’Italia».

I vostri commenti
1

Stai visualizzando  dei 1 commenti

    Vedi altri 20 commenti
    Policy sulla pubblicazione dei commenti
    I commenti del sito di Famiglia Cristiana sono premoderati. E non saranno pubblicati qualora:

    • - contengano contenuti ingiuriosi, calunniosi, pornografici verso le persone di cui si parla
    • - siano discriminatori o incitino alla violenza in termini razziali, di genere, di religione, di disabilità
    • - contengano offese all’autore di un articolo o alla testata in generale
    • - la firma sia palesemente una appropriazione di identità altrui (personaggi famosi o di Chiesa)
    • - quando sia offensivo o irrispettoso di un altro lettore o di un suo commento

    Ogni commento lascia la responsabilità individuale in capo a chi lo ha esteso. L’editore si riserva il diritto di cancellare i messaggi che, anche in seguito a una prima pubblicazione, appaiano  - a suo insindacabile giudizio - inaccettabili per la linea editoriale del sito o lesivi della dignità delle persone.
     
     
    Pubblicità
    Edicola San Paolo