Parla alla Bosnia, ma parla la mondo intero. Papa Francesco, nella omelia pronunciata nello stadio Kosevo, lo stesso dove Giovanni Paolo II aveva celebrato nel 1997, non ha remore a denunciare che «l’aspirazione alla pace e l’impegno per costruirla si scontrano col fatto che nel mondo sono in atto numerosi conflitti armati. È una sorta di terza guerra mondiale combattuta “a pezzi”; e, nel contesto della comunicazione globale, si percepisce un clima di guerra. C’è chi questo clima vuole crearlo e fomentarlo deliberatamente, in particolare coloro che cercano lo scontro tra diverse culture e civiltà, e anche coloro che speculano sulle guerre per vendere armi. Ma la guerra significa bambini, donne e anziani nei campi profughi; significa dislocamenti forzati; significa case, strade, fabbriche distrutte; significa soprattutto tante vite spezzate. Voi lo sapete bene, per averlo sperimentato proprio qui: quanta sofferenza, quanta distruzione, quanto dolore! Oggi, cari fratelli e sorelle, si leva ancora una volta da questa città il grido del popolo di Dio e di tutti gli uomini e le donne di buona volontà: mai più la guerra!».
Applaudono i tanti che conoscono l'italiano già prima che le parole del Papa siano tradotte in croato.
Papa Francesco parla di pace, ma soprattutto chiede che la pace la si faccia concretamente. «All’interno di questo clima di guerra, come un raggio di sole che attraversa le nubi, risuona la parola di Gesù nel Vangelo: "Beati gli operatori di pace". È un appello sempre attuale, che vale per ogni generazione. Non dice “Beati i predicatori di pace”: tutti sono capaci di proclamarla, anche in maniera ipocrita o addirittura menzognera. No. Dice: "Beati gli operatori di pace", cioè coloro che la fanno. Fare la pace è un lavoro artigianale: richiede passione, pazienza, esperienza, tenacia».
La pace si costruisce a partire dalla giustizia e ricordando che «il pieno compimento della giustizia è amare il prossimo come se stessi». Seguendo questo comandamento cambiano le cose: «Quella persona, quel popolo che vedevo come nemico, in realtà ha il mio stesso volto, il mio stesso cuore, la mia stessa anima».
E tra gli atteggiamenti necessari per «fare la pace», il Papa ricorda quanto dice Paolo nella Seconda lettura: Rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei confronti di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi».
Non bisogna illudersi, però, di essere da soli artefici della pace: «Cadremmo in un moralismo illusorio», mette in guardia Bergoglio.
«La pace è dono di Dio, non in senso magico, ma perché Lui, con il suo Spirito, può imprimere questi atteggiamenti nei nostri cuori e nella nostra carne, e fare di noi dei veri strumenti della sua pace. E, andando in profondità, l’Apostolo dice che la pace è dono di Dio perché è frutto della sua riconciliazione con noi. Solo se si lascia riconciliare con Dio, l’uomo può diventare operatore di pace».