Ad accogliere papa Francesco
all’Onu in questa occasione
anche la bandiera del Vaticano
che per la prima volta sventola
assieme a quella degli Stati
membri. «Una decisione che è
stata da poco presa in favore degli Stati
Osservatori. È il simbolo del ruolo
internazionale della Santa Sede, della
sua difesa della persona umana e un
richiamo che è alla ne Dio che guida
la storia», spiega da Ginevra monsignor
Silvano Tomasi, osservatore
permanente per la Santa Sede presso
le Nazioni Unite a Ginevra.
A 70 anni dalla sua Fondazione quale signicato dare alla visita di papa Francesco?
«In questo tempo si sono succeduti
sette Papi. Tutti hanno sostenuto
la necessità dell’Onu, nonostante
il chiaro disaccordo su temi come
il controllo delle nascite e l’aborto.
Quello di papa Francesco è il quinto
discorso alla tribuna dell’Onu dopo
Paolo VI nel 1965, Giovanni Paolo II
nel 1979 e nel 1995, Benedetto XVI nel
2008. In primo piano la famiglia, in
vista del prossimo Sinodo dei vescovi,
e l’ecologia con riferimento all’enciclica
Laudato si’. È pure l’occasione per
esprimersi sulla situazione internazionale:
la pace nel Medio Oriente, gli esodi massicci di richiedenti asilo,
la dignità di ogni persona per quanto
emarginata, i cristiani perseguitati».
Questa visita può accelerare il
processo di riforma dell’Onu?
«Più voci chiedono una revisione
generale per incidere su diversi problemi:
dalla lentezza alla poca trasparenza,
dall’eccessiva burocrazia
all’inadeguata rappresentatività del
Consiglio di sicurezza. Il messaggio
del Papa può certo dare una spinta
verso una maggior efficienza nelle emergenze, minor condizionamento
dagli interessi delle grandi potenze,
più attenzione agli esclusi. La complessità
della struttura dell’Onu sda
la creatività di tutti per renderla un
servizio universale efcace alla famiglia
umana».
Quali sono le questioni – tra quelle
che stanno più a cuore alla Chiesa
– che l’Onu dovrebbe affrontare con
urgenza?
«La pace e la fine della violenza
in Siria e in Iraq, sono una priorità. La sofferenza umana causata dalla barbarie
dello “Stato islamico”, lo sradicamento
forzato di milioni di persone,
le 220 mila persone uccise in Siria
da quando il con
itto è iniziato nel
2011, sono tragedie che devono nire.
E poi non è più tollerabile che cristiani,
yaziri, gruppi sciiti e sunniti siano
giuridicamente considerati cittadini
di seconda classe e con meno diritti
dalle comunità nazionali maggioritarie.
Questa forma di discriminazione
strutturale è alla radice di tanta
violenza contemporanea e della persecuzione
dei cristiani in particolare.
La comunità internazionale, inoltre,
mentre promuove lo sviluppo dei
Paesi poveri, per aver successo, dovrà
mettere la persona umana come protagonista
e al centro di ogni considerazione
e iniziativa».
Più volte il Papa ha denunciato che
mentre la comunità internazionale sembra non trovare risposte al drammatico esodo, chi commercia in armi continua a fare affari. In che modo l'Onu può affrontare la questione?
«L’industria degli armamenti è
purtroppo fiorente. Nel 2014 la spesa
per le armi ha raggiunto la cifra di
1.776 miliardi di dollari (245 a persona).
Invece come aiuto allo sviluppo dei
Paesi poveri sono stati dati 135,2 miliardi.
Si aggiunga il trafco illegale e
si vede come il mercato sia lucrativo
e micidiale. Eppure i grandi trafficanti di armi sono conosciuti dai Paesi
ricchi e potrebbero essere fermati. Gli
interessi nazionali e privati prevalgono
e i massacri di civili continuano.
Dovrebbe far ri
ettere il fatto che chi
causa la destabilizzazione dell’uno o
dell’altro Paese poi non si assume la
responsabilità delle conseguenze».
Lei ha più volte posto la questione
del traffico di esseri umani...
«L’intensità e il volume di esseri
umani trafcati sembrano in ascesa
anche se la comunità internazionale
lavora per l’eliminazione di questo fenomeno.
L’Isis con i suoi proclami e le
sue azioni cerca di giusticare la schiavitù
e considera come schiavi le donne
e i bambini che cattura. Assomigliano
alle vittime della schiavitù certi gruppi
di lavoratori migranti nei Paesi del
Golfo. Ci sono 35,8 milioni di persone
private del diritto di essere libere in
ogni forma di schiavitù. Più di 5 milioni
di minori ai lavori forzati. Quando
il protto e l’egoismo dettano legge, a
rischio sono le persone più indifese:
donne, bambini, migranti, rifugiati. Se
l’opinione pubblica non è allertata e la
globalità del fenomeno riconosciuta,
la tratta di persone continuerà. Solo la
riduzione delle ineguaglianze sociali
ed economiche porterà all’eliminazione
della schiavitù moderna»