Le «radici» cristiane non sono un reperto da museo, ma qualcosa di vitale per andare avanti, e chi le usa per «consolidare un’identità chiusa» rischia di «tradirle e sterilizzarle». Papa Francesco parla di Europa nell’udienza generale successiva al suo recente viaggio a Budapest e in Slovacchia (12-15 settembre), l’occasione per ripercorrere i momenti salienti e i significati più importanti della sua trasferta nel cuore dell’Europa.
«Questo viaggio – ha detto il Pontefice argentino ai fedeli radunati nell’aula delle udienze - è stato un pellegrinaggio alle radici. Incontrando i fratelli vescovi, sia a Budapest sia a Bratislava, ho potuto toccare con mano il ricordo grato di queste radici di fede e di vita cristiana, vivide nell’esempio luminoso di testimoni della fede, come il cardinal Mindszenty e il cardinal Korec, come il beato vescovo Pavel Peter Gojdič», ha detto Francesco ricordando anche l’incontro con uno dei Vescovi slovacchi, già anziano, che nel salutare il papa gli ha detto:: “Io ho fatto il conduttore di tram per nascondermi dai comunisti”. «E’ bravo, questo Vescovo», ha chiosato Francesco: «nella dittatura, nella persecuzione lui era un conduttore di tram, poi di nascosto faceva il suo “mestiere” di Vescovo e nessuno lo sapeva. Così è nella persecuzione. Non c’è preghiera senza memoria. La preghiera, la memoria della propria vita, della vita del proprio popolo, della propria storia: fare memoria e ricordare. Questo fa bene e aiuta a pregare». Più volte – ha sottolineato Bergoglio – «ho insistito sul fatto che queste radici sono sempre vive, piene della linfa vitale che è lo Spirito Santo, e che come tali devono essere custodite: non come reperti da museo, non ideologizzate e strumentalizzate per interessi di prestigio e di potere, per consolidare un’identità chiusa. No. Questo vorrebbe dire tradirle e sterilizzarle!».
E «durante questo viaggio nel cuore dell’Europa ho pensato spesso ai padri dell’Unione europea, come l’hanno sognata, non come un’agenzia per distribuire le colonizzazioni ideologiche della moda. Così intese e vissute, le radici sono garanzia di futuro: da esse germogliano folti rami di speranza. Anche noi – ha proseguito il papa – abbiamo radici, ognuno ci noi ha le proprie radici, ricordiamo le radici dei padri, dei nonni? Siamo collegati ai nonni, che sono un tesoro? “Ma sono vecchi…”, no, loro ti danno la linfa devi prendere da loro. Non diciamo “va e rifugiati nelle radici”, no, vai alle radici prendi la linfa e vai avanti. Mi piace ricordare un detto: tutto quello che l’albero ha di fiorito gli viene da quello che ha di sotterrato. Puoi crescere nella misura in cui sei unito alle radici, se tagli le radici le ideologie nuove non ti fa crescere e finirai male».
Proprio oggi, peraltro, una alta delegazione cardinalizia – il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, il cardinale Peter Turkson, prefetto del dicastero per lo Sviluppo umano integrale, e il cardinale Jean-Claud Hollerich, presidente dei vescovi Ue, insieme all’arcivescovo «ministro degli Esteri» della Santa Sede Paul Richard Gallagher – è stata ricevuta a Roma da un incontro del Partito popolare europeo (Ppe). «Pur non identificandosi con il cristianesimo qua talis, però da parte del Ppe c'è un'attenzione particolare nei confronti del cristianesimo», ha rilevato Parolin, «e molti dei suoi esponenti si richiamano esplicitamente anche ai principi cristiani». Quanto al fatto che anche tra i populisti di destra c'è chi si richiama agli stessi principi, «l'importante – ha sottolineato Parolin in risposta ai giornalisti – è fare una scelta globale. Nel cristianesimo non si sceglie quello che più piace o quello che più fa comodo, nel cristianesimo si deve accettare tutto e quindi fa parte del cristianesimo sia la difesa della vita in tutte le sue fasi, dall'inizio della concezione fino alla morte naturale, ma fa parte anche l'amore al prossimo, che si manifesta nel nostro caso anche come attenzione nei confronti del fenomeno delle migrazioni secondo quei quattro verbi che il papa ci ha sempre indicato, accogliere, proteggere, promuovere e integrare. C'è sempre il rischio di una strumentalizzazione del cristianesimo o di una manipolazione del cristianesimo come di altre religioni a scopi politici».
Il Papa, nel corso dell’udienza, ha sottolineato vari punti-chiave del suo viaggio in Europa orientale. «Ho visto tanta speranza negli occhi dei giovani, nell’indimenticabile incontro allo stadio di Kosice», ha detto. «Questo anche mi ha dato speranza, vedere tante, tante coppie giovani e tanti bambini. E ho pensato all’inverno demografico che noi stiamo vivendo, e quei Paesi fioriscono di coppie giovani e di bambini: un segno di speranza. Specialmente in tempo di pandemia, questo momento di festa è stato un segno forte e incoraggiante, anche grazie alla presenza di numerose coppie giovani, coi loro bambini. Come forte e profetica è la testimonianza della Beata Anna Kolesárová, ragazza slovacca che a costo della vita difese la propria dignità contro la violenza: una testimonianza più che mai attuale, purtroppo, perché la violenza sulle donne – ha sottolineato Bergoglio – è una piaga aperta dappertutto».
Un tributo particolare il Papa ha voluto dedicare a chi si occupa dei poveri, a partire dalle suore che nel centro Betlemme di Bratislava «ricevono gli scartati della società: pregano e servono, pregano e aiutano. E pregano tanto e aiutano tanto, senza pretese. Sono gli eroi di questa civilizzazione. Io vorrei che tutti noi facessimo una riconoscenza a Madre Teresa e a queste suore: tutti insieme un applauso a queste suore brave! Queste suore accolgono le persone senzatetto. Penso alla comunità Rom e a quanti si impegnano con loro per un cammino di fraternità e di inclusione. È stato commovente condividere la festa della comunità Rom: una festa semplice, che sapeva di Vangelo. I Rom sono dei fratelli nostri: dobbiamo accoglierli, dobbiamo essere vicini come fanno i Padri salesiani lì a Bratislava, vicinissimi ai Rom».
Il papa, ancora, ha sottolineato il valore della commemorazione della Shoah con la comunità ebraica: «Non c’è preghiera senza memoria. Non c’è preghiera senza memoria. Cosa vuol dire, questo? Che noi, quando preghiamo, dobbiamo fare memoria della nostra vita, della vita del nostro popolo, della vita di tanta gente che ci accompagna nella città, tenendo conto di qual è stata la loro storia». Radicati nel passato e rivolti al futuro.