La preghiera di una fedele ortodossa (Reuters).
«Quello che la Chiesa ortodossa si appresta a vivere il prossimo 7 gennaio sarà, per la Russia, un Natale di grande preoccupazione. E, per Putin, il 2015 rappresenta la “prova del fuoco”. L’economia rischia di crollare come un castello di carte. Tuttavia, questo potrebbe anche essere l’anno dello storico incontro tra papa Francesco e il patriarca Kirill…».
Segnali di speranza, dunque, per la Russia di Putin, che ha chiuso il 2014 con un bilancio economico e politico pesantissimo e che si affaccia nel nuovo anno con oscuri presagi di recessione. A raccontarceli è don Stefano Caprio, uno dei primi sacerdoti cattolici ad arrivare nel Paese degli zar nel 1989 e oggi docente del Pontificio istituto orientale di storia e di cultura russa. A lui abbiamo chiesto di aiutarci a comprendere le ultime vicende di cronaca e analizzare come questi fatti si ripercuotono sulla Chiesa ortodossa e sui suoi rapporti con il mondo cattolico.
L’amico di Berlusconi, “l’invasore” della Crimea, il sovrano assoluto che mette in galera giornalisti e oppositori. Ma anche il difensore della Chiesa ortodossa, il presidente più amato dai russi e l’alleato di papa Francesco per la pace in Siria, contro l’opzione militare suggerita dall’America. Don Stefano, chi è in realtà Vladimir Putin?
«Putin è figlio della sua cultura e della storia del suo Paese. È un ex agente del Kgb che nel 1989, alla vigilia del crollo dell’Unione sovietica che portò la fine del Partito Comunista e la nascita della Federazione russa, si trovava nella Germania dell’Est e ha vissuto questo passaggio storico come il dramma personale più grande della sua vita. Dall’atra parte, è anche un uomo del 21mo secolo, che quindi capisce l’impossibilità di tornare indietro. Stretto tra questi due estremi – l’amore per il “vecchio” e l’apertura al nuovo – cerca di salvare tutto ciò che può di quello che era il suo mondo, di portare avanti alcune costanti dell’Unione Sovietica che derivano dalla tradizione russa.
Dopo 15 anni al potere, ormai di Putin dovremmo sapere abbastanza, ma non è così perché il grande pubblico occidentale fa fatica a capirlo, come ha sempre fatto fatica a capire la Russia, che è un Paese a metà tra l’Oriente e l’Occidente, tra il progresso e la conservazione. Ciò che è sicuro, è che l’attuale presidente della Russia ha tentato, in tutti questi anni, di ricostruire l’Unione Sovietica senza però l’ideologia comunista, con un impianto dello Stato centralizzato, ma perseguendo una strada cristiano-conservatore-ortodossa, che giustifichi l’antagonismo e la superiorità nei confronti dell’Occidente. In realtà Putin non è un’eccezione rispetto ai grandi dittatori russi, da Ivan il Terribile a Pietro il Grande, a Stalin. Rappresenta una continuità con la tradizione russa e con la cultura sovietica».
Secondo lei, è possibile un asse papa Francesco-Putin, che parte dal Medioriente e arriva fino a Washington?
«Di sicuro, il fatto che papa Francesco rappresenti, al di là delle sue aperture dal punto di vista religioso e spirituale, anche dal punto di vista politico una visione non eurocentrica e non “allineata”, lo avvicina a Putin che, da sempre, cerca di interpretare il terzo polo del mondo tra Oriente e Occidente, tra la Cina e l’America. Ma non parlerei di un asse: in altri casi, infatti, non c’è sintonia, ne è un esempio la vicenda dell’Ucraina».
Lo scorso novembre, nel viaggio di ritorno dalla Turchia, dopo aver incontrato Bartolomeo I, il Papa ha detto che, prima o poi, “arriverà” a Mosca: questione di mesi, o di anni?
«Sicuramente, l’incontro con il Patriarca di Mosca non è impossibile e potrà avvenire anche in tempi relativamente brevi. L’opzione di fare un viaggio a Mosca è, invece, molto più improbabile…».
Qual è lo scoglio principale nei rapporti tra la Chiesa cattolica e l’ortodossia russa? Molti osservatori internazionali sostengono sia la questione degli uniati in Ucraina (i greco-cattolici, con rito orientali ma fedeli al Papa di Roma). Lei è d’accordo?
«L’Ucraina è il concentrato di tutte le contese tra i cattolici e gli ortodossi: lì si scontrano visioni diverse della Chiesa, del ruolo del Papa, di quello del Patriarca…. Diatribe che vanno avanti, alla stessa maniera, dal 1500. Quella di Roma e quella di Mosca sono due Chiese antagoniste, perché il Patriarcato russo vuole avere, nella tradizione ortodossa, una funzione dominante, e quindi in questo senso il suo vero interlocutore è certamente il Papa di Roma».
Come vivono la fede, oggi, i cattolici in Russia?
«Serenamente. C’è stato un decennio di ricostruzione e di rinascita religiosa negli anni Novanta, un periodo che si è concluso con dissidenze e contrasti, ma alla fine quello che è stato costruito in quel decennio è rimasto in piedi. Nel 1989, fui uno dei primi sacerdoti stranieri ad arrivare in Russia. Con me, c’erano preti clandestini e insieme abbiamo riaperto molte chiese chiuse nel periodo comunista; altre ne abbiamo create di nuove, aggregando cattolici di origine etnica, cioè polacchi, lituani, tedeschi e anche alcuni fedeli dei paesi dell’America latina e dell’Africa, legati all’Unione sovietica, oltre a una piccolissima minoranza di russi che si avvicinava al cattolicesimo. Oggi, la Chiesa cattolica ha le sue strutture, i cattolici possono frequentare liberamente le funzioni, non hanno un grande spazio di attività perché la libertà religiosa è condizionata, però per la minoranza cattolica in Russia la vita è abbastanza tranquilla».
La Chiesa cattolica in Russia è rinata dopo la caduta del regime comunista in Unione Sovietica, nel 1991, e già nel 1992 in Russia è nata una casa di Memores Domini (associazione laicale ispirata ai principi di Comunione e liberazione). Si dice spesso che la rappresentanza dei cattolici in Russia sia “egemonizzata” dalla fraternità di Cl, cui lei appartiene. È così?
«Faccio parte della storia del movimento di Comunione e Liberazione, così come del resto ne fa parte l’attuale arcivescovo di Mosca, monsignor Paolo Pezzi (nominato al vertice della diocesi russa da Benedetto XVI nel 2007, ndr), e come molti altri sacerdoti. Sicuramente, c’è stata un’attenzione particolare alla questione russa da parte di don Luigi Giussani, fondatore di Cl e da sempre interessato alla cultura sovietica, e del centro Russia Cristiana, associazione fondata nel 1957 da padre Romano Scalfi, che oggi ha 91 anni ed è ancora l’ispiratore di questa realtà. Ma, negli anni Novanta, tutti i movimenti cattolici si sono mobilitati per la Russia: non solo Cl, io stesso ad esempio arrivai a Mosca insieme a dei focolarini, ma erano presenti anche i neocatecumenali ed esponenti di tanti altri gruppi, anche di varie nazioni. Il che dimostra come non esista assolutamente un’egemonia di Cl...».
L’Europa è divisa sulle sanzioni alla Russia, anche perché in gioco ci sono importanti rapporti finanziari. Il 15 gennaio, a questo proposito, si terrà un vertice per parlare di Ucraina, con la partecipazione della Francia e della Germania. Quanto pesa il ruolo di leader cristiano che si è ritagliato Putin?
«Il ruolo di Putin è riconosciuto da larga parte del mondo cattolico più tradizionalista, non soltanto in Europa ma anche in America, da parte dei conservatori protestanti. Quella del presidente russo è una visione un po’ fondamentalista, cioè di un mondo in contrapposizione tra valori tradizionali e nuovo umanesimo relativista, in cui giocano più i fattori ideologici che non quelli economici o politici. Di sicuro, Putin in questo ha un suo ruolo preciso, cioè di rifiuto del multiculturalismo nella società. In Europa, a livello politico, il collegamento lo hanno trovato soltanto i gruppi più xenofobi e reazionari, come la destra francese di Marine Le Pen o la Lega di Salvini in Italia. Bisognerà vedere se da questo nascerà un blocco politico europeo, capace di influire sulla politica comune, ma non lo vedo molto probabile».
La crisi del rublo, l’inflazione altissima, il potere di acquisto che si assottiglia sempre di più con il Governo costretto a fornire liquidità per salvare le grandi compagnie. Tutto ciò potrebbe destabilizzare la leadership di Putin?
«Eccome! Questa è proprio la prova del fuoco, perché Putin in 15 anni ha rimesso in piedi la Russia solo e unicamente grazie all’alto prezzo del petrolio, l’unica vera carta che l’economia sovietica poteva giocare e con la quale ha pagato tutti i debiti nei confronti dell’Occidente. Ma, nel momento in cui l’Occidente stringe con le sanzioni e il petrolio finisce di essere una fonte di mantenimento sicuro, l’economia russa rischia di crollare. Come un castello di carte».
Come sarà questo Natale, per i russi?
«Carico di preoccupazioni. Il 2014 ha portato la crisi ucraina, che è una grandissima fonte di inquietudine per la Chiesa russa, costituita non soltanto dalle parrocchie della Federazione, ma anche da quelle dell’Ucraina, che sono addirittura più della metà. Quindi, questa situazione è un grande travaglio interno alla Chiesa stessa e la perdita di influenza del Governo, a causa della crisi, finisce per indebolire anche l’autorevolezza della Chiesa ortodossa, che rappresenta il sostegno ideologico del potere di Putin».
Lei che lo conosce: cosa significa per Putin credere in Cristo?
«Putin ha raccontato, anche se con molta discrezione, la sua conversione: negli ultimi anni dell’impero sovietico, ha compreso che la Chiesa non era quella forza ostile al sistema che aveva creduto negli anni giovanili, perché crollando tutto ha trovato proprio nella Chiesa un sostegno e una speranza. Si è avvicinato alla fede grazie a un padre spirituale che lo accompagna molto spesso nelle sue funzioni presidenziali e che lo descrive come un sincero cristiano ortodosso. Potremmo dire che, alla maniera dell’imperatore Costantino, anche Putin ha trovato la “quadra” tra le necessità politiche e quelle spirituali».