Non è solo un appello alla dignità del lavoro.
Non è solo l’esortazione al coraggio e a non farsi rubare la
speranza. Il ragionamento che Jorge Mario Bergoglio propone a
Cagliari si inserisce in una filiera di analisi sul capitalismo e
l’economia canaglia che da Giovanni Paolo II in poi ha visto la
Chiesa schierata in prima linea contro la globalizzazione selvaggia
che brucia lavoro e si nutre di finanza.
Karol Wojtyla venne criticato per
questo soprattutto negli Stati Uniti dagli intellettuali cattolici
vicini a quella che è stata definita la “reaganomics” e che
avevano in Michael Novak, economista americano, l’intellettuale di
punta. Le sue critiche alle posizioni del pontificato di Wojtyla su
globalizzazione e a quelle espresse in diversi documenti della Santa
Sede erano state puntuale e assai severe.
Ora Novak è tornato
pesantemente a criticare anche Papa Francesco e nei giorni scorsi ha
avvertito che «l’effetto finale rischia di essere dannoso»: «Il
Papa non si rende conto dei danni che sta facendo».
Le parole di
Bergoglio pronunciate domenica mattina a Cagliari e il ragionamento
sull’idolatria del denaro svolto nell’omelia di venerdì 20
settembre a Santa Marta si inseriscono nella riflessione della Chiesa
sulla “bad economy”.
Papa Francesco ha usato parole dirette e
molto semplici, dietro le quali vi è una chiara scelta di campo.
Viene dall’Argentina e sa di cosa si sta parlando. Il suo Paese è
stato tra i primi a subire gli attacchi finanziari internazionali di
fronte ai quali la classe politica si è dimostrata incapace di agire
e di porre argini. E il popolo argentino si è trovato a vivere
drammi spaventosi. La sua preoccupazione è davvero profonda. E non
si riferisce solo alla crisi sarda, anzi il Papa trasforma il dramma
della Sardegna in un paradigma mondiale. Qui il lavoro è sparito, i
grandi gruppi industriali hanno smesso di investire per destinare
risorse alla finanza, qui si è sfruttato l’ambiente.
Nella
preghiera "inventata" lì per lì davanti alla folla di lavoratori in
largo Carlo Felice lo ha detto chiaramente: «Gli idoli vogliono
rubarci la dignità». E gli idoli sono tutto quel complesso di
azioni negative che mettono il denaro al primo posto, la finanza
piramidale del debito che crea debito e brucia i risparmi delle
famiglie, la finanza dell’intreccio dei derivati che riempiono i
portafogli di operatori senza scrupoli e schiantano lavoro e
investimenti sociali, perché i soldi non si bruciano mai, ma vanno a
finire solo da un’altra parte. Nella preghiera papa Francesco parla
di «sistemi ingiusti» ed a questo che si riferisce.
La soluzione
che propone è quella di una nuova solidarietà, la solidarietà dei
popoli contro gli gnomi senza volto della finanza. A Cagliari ha
lasciato all’arcivescovo Arrigo Miglio il discorso che aveva
preparato e che non ha letto. È un testo molto interessante, che si
colloca nel contesto della critica al capitalismo e alla
globalizzazione selvaggia. Bergoglio spiega che alla radice della
crisi c’è «un tradimento del bene comune sia da parte di singoli
che da parte di gruppi di potere».
E quindi è necessario «togliere
centralità alla legge del profitto e della rendita e ricollocare al
centro la persona e il bene comune».
E il “fattore” più
importante per il Papa è il lavoro. Esattamente il contrario di ciò
che sta al centro per i signori del denaro, che muovono capitali in
modo vorticoso e così «rubano la speranza» ai popoli.