«Cari fratelli e sorelle, buongiorno!», esordisce il Papa con la formula che abbiamo imparato a conoscere, «Oggi celebriamo la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo, con la quale si chiude l’anno liturgico, la grande parabola in cui si dispiega il mistero di Cristo. Egli è l’Alfa e l’Omega, l’inizio e il compimento della storia; e la liturgia odierna si concentra sull’“omega”, cioè sul traguardo finale. Il senso della storia lo si capisce tenendo davanti agli occhi il suo culmine: la fine è anche il fine. Ed è proprio questo che fa Matteo, nel Vangelo di questa domenica, ponendo il discorso di Gesù sul giudizio universale all’epilogo della sua vita terrena: Lui, che gli uomini stanno per condannare, è in realtà il supremo giudice. Nella sua morte e risurrezione, Gesù si mostrerà il Signore della storia, il Re dell’universo, il Giudice di tutti».
«Ma il paradosso cristiano», spiega Francesco, « è che il Giudice non riveste una regalità temibile, ma è un pastore pieno di mitezza e di misericordia. Gesù, infatti, in questa parabola del giudizio finale, si serve dell’immagine del pastore, prende l'immagine dal profeta Ezechiele, che aveva parlato dell’intervento di Dio in favore del popolo, contro i cattivi pastori d’Israele. Questi erano stati crudeli e sfruttatori, preferendo pascere sé stessi piuttosto che il gregge; pertanto Dio stesso promette di prendersi cura personalmente del suo gregge, difendendolo dalle ingiustizie e dai soprusi. Questa promessa di Dio per il suo popolo si è realizzata pienamente in Gesù Cristo, che dice di sé: "Io sono il buon pastore"».
«Nella pagina evangelica di oggi» continua, «Gesù si identifica non solo col re-pastore, ma anche con le pecore perdute, potemmo parlare come di una doppia identità: Gesù si identifica cioè con i fratelli più piccoli e bisognosi. E indica così il criterio del giudizio: esso sarà preso in base all’amore concreto dato o negato a queste persone, perché Lui stesso, il giudice, è presente in ciascuna di esse. Dice Gesù: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto (o non avete fatto) a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete (o non l’avete) fatto a me». Saremo giudicati sull’amore. Non sul sentimento, no: sulle opere, sulla compassione che si fa vicinanza e aiuto premuroso. Io mi avvicino a Gesù presente nella persona dei malati, dei bisognosi, dei carcerati? Ecco la domanda di oggi. Dunque, il Signore, alla fine del mondo, passerà in rassegna il suo gregge, e lo farà non solo dalla parte del pastore, ma anche dalla parte delle pecore, con le quali Lui si è identificato. E ci chiederà: “Sei stato un po’ pastore come me?, sei stato pastore di me che ero presente in queste persone nel bisogno o sei stato indifferente?”. Ricordiamo la parabola del buon samaritano: un uomo era solo buttato per terra, passò un sacerdote e guardò dall'altra parte, passò un levita e guardò di là. Io sono indifferente come loro? Onguno di noi anche io sarà giudicato su questa è la logica e non lo dico io lo dice Gesù: "Io ero lì, quello che avete fatto o non avete fatto a lui, avete o non avete fatto a me". Chiediamo alla Vergine Maria di insegnarci a regnare nel servire. La Madonna, assunta in Cielo, ha ricevuto dal suo Figlio la corona regale, perché lo ha seguito fedelmente nella via dell’Amore. Impariamo da lei a entrare fin da ora nel Regno di Dio, attraverso la porta del servizio umile e generoso. Torniamo a casa solo con questa frase: "Io ero presente lì, ci sei stato o ti sei scordato di me?"».
Dopo la recita dell'Angelus il papa si rivolge alla piazza: desidero inviare un pensiero speciale alla Campania e alla Basilicata per i 40 del terremoto che ebbe epicentro in Irpinia, una ferita ancora aperta ma anche segno della solidarietà e fraternità tra diverse comunità della penisola, saluto voi pellegrini che siete presenti nel rispetto delle regole, penso alle tante famiglie che non hanno lavoro e alle volte non fanno sapere questo per vergogna. Andiamo noi ad aiutare dove c'è bisogno»