Gioia, liberazione, luce, guarigione e stupore. Sono i cinque aspetti su cui papa Francesco chiede di riflettere per capire che Gesù à maestro dell’annuncio evangelico e che solo così possiamo noi stessi farci annunciatori. Francesco ricava questi cinque aspetti dal racconto del Vangelo di Luca in cui Gesù fa una predica brevissima su un passo di Isaia. «Una sola frase. E dice così: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. Questa è stata la predica di Gesù. Ciò significa che per Gesù quel passo profetico contiene l’essenziale di quanto Egli vuole dire di sé. Dunque, ogni volta che noi parliamo di Gesù, dovremmo ricalcare quel suo primo annuncio».
E in questo primo annuncio, «il primo elemento è la gioia. Gesù proclama: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; [...] mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio”. C’è un annuncio di letizia, di gioia. Lieto annuncio: non si può parlare di Gesù senza gioia, perché la fede è una stupenda storia d’amore da condividere. Testimoniare Gesù, fare qualcosa per gli altri nel suo nome, è dire tra le righe della vita di aver ricevuto un dono così bello che nessuna parola basta a esprimerlo. Invece, quando manca la gioia, il Vangelo non passa, perché esso – lo dice la parola stessa – è buon annuncio, il Vangelo vuol dire buon annuncio, annuncio di gioia. Un cristiano triste può parlare di cose bellissime ma è tutto vano se l’annuncio che trasmette non è lieto. Diceva un pensatore: “Un cristiano triste è un triste cristiano”. Non dimenticare questo».
E poi la liberazione. Lo dice lo stesso Gesù di essere stato mandato «a proclamare ai prigionieri la liberazione». E questo, dice il Papa, «significa che chi annuncia Dio non può fare proselitismo, no, non può far pressione sugli altri, no, ma alleggerirli: non imporre pesi, ma sollevare da essi; portare pace, non portare sensi di colpa. Certo, seguire Gesù comporta un’ascesi, comporta dei sacrifici; d’altronde, se ogni cosa bella ne richiede, quanto più la realtà decisiva della vita! Però chi testimonia Cristo mostra la bellezza della meta, più che la fatica del cammino», come fa chi racconta un bel viaggio descrivendo la bellezza dei luoghi più che le code in aeroporto.
Il terzo aspetto è la luce. Gesù dice di essere venuto a portare «ai ciechi la vista». Prima di Gesù, nella Bibbia, non c’era stato alcun miracolo legato a questo perché il ridare la vista ai ciechi era un segno promesso alla venuta del Messia. «Ma qui non si tratta solo della vista fisica, bensì di una luce che fa vedere la vita in modo nuovo e anche la vita di un uomo nuovo. C’è un “venire alla luce”, una rinascita che avviene solo con Gesù. Se ci pensiamo, così è iniziata per noi la vita cristiana: con il Battesimo, che anticamente era chiamato proprio “illuminazione”. E quale luce ci dona Gesù? Ci porta la luce della figliolanza: Lui è il Figlio amato del Padre, vivente per sempre; con Lui anche noi siamo figli di Dio amati per sempre, nonostante i nostri sbagli e difetti. Allora la vita non è più un cieco avanzare verso il nulla, no, non è questione di sorte o fortuna, non è qualcosa che dipende dal caso o dagli astri, e nemmeno dalla salute e dalle finanze, no, la vita dipende dall’amore, dall’amore del Padre, che si prende cura di noi, suoi figli amati».
E poi la guarigione. Gesù dice di essere venuto «a rimettere in libertà gli oppressi». E oppresso, spiega il Pontefice, «è chi nella vita si sente schiacciato da qualcosa: malattie, fatiche, pesi sul cuore, sensi di colpa, sbagli, vizi, peccati... Oppressi da questo. Pensiamo per esempio ai sensi di colpa, quanti di noi hanno sofferto di questo. A opprimerci, soprattutto, è proprio quel male che nessuna medicina o rimedio umano possono risanare: il peccato. E se uno ha senso di colpa è per qualcosa che ha fatto. Ma la buona notizia è che con Gesù questo male antico, che sembra invincibile, non ha più l’ultima parola. Posso peccare perché sono debole, ma questo non ha l’ultima parola. Dio sempre ci tende la mano, soltanto dobbiamo aggrapparci. L’ultima parola è la mano tesa di Dio che ci porta avanti. Dal peccato Gesù ci guarisce sempre e gratuitamente». Dovremmo essere capaci di «accompagnare qualcuno all’incontro con Gesù» che è come «portare dal medico del cuore, che risolleva la vita». Chi porta dei pesi, insiste il Papa, «ha bisogno di una carezza sul passato, ha bisogno di perdono. E chi crede in Gesù ha proprio questo da donare agli altri: la forza del perdono di Dio, che libera l’anima da ogni debito. Fratelli, sorelle, non dimenticate: Dio dimentica tutto, dimentica tutti i nostri peccati, su questo non ha memoria, soltanto ci vuole che ci avviciniamo al Signore e lui ci perdona tutto». Dio «ci aspetta per risanarci, sempre. Non abbiamo sfiducia in questo, così si ama il Signore. Chi porta dei pesi ha bisogno di una carezza sul passato e Gesù lo fa. Nella Bibbia si parla di un anno in cui si era liberati dal peso dei debiti: il Giubileo, l’anno di grazia».
E questo Giubileo, Gesù «dice infatti di essere venuto “a proclamare l’anno di grazia del Signore”» ci porta allo stupore. «Non era un giubileo programmato, come quelli che stiamo facendo adesso che sono programmati, no, con Cristo la grazia che fa nuova la vita arriva e stupisce sempre. Cristo è il Giubileo di tutti i giorni. E l’annuncio di Gesù deve portare sempre lo stupore della grazia. Sono stato perdonato, sono stata perdonata. Perché non siamo noi a fare grandi cose, ma è la grazia del Signore che, anche attraverso di noi, compie cose imprevedibili. Queste sono le sorprese di Dio, Dio è maestro delle sorprese, sempre ci aspetta. Il Vangelo si accompagna ad un senso di meraviglia e di novità che ha un nome: Gesù. Lui ci aiuti ad annunciarlo come desidera, comunicando gioia, liberazione, luce, guarigione e stupore. Così si comunica Gesù».
E, infine non bisogna dimenticare che questo lieto annuncio è rivolto innanzitutto ai poveri. Lo dice il Vangelo. «Spesso ci dimentichiamo di loro, eppure sono i destinatari esplicitamente menzionati da Gesù, perché sono i prediletti di Dio. Ricordiamoci di loro e ricordiamoci che, per accogliere il Signore, ciascuno di noi deve farsi “povero dentro”. Con quella povertà che dice: “Signore ho bisogno di aiuto, di forza, di perdona”. Deve vincere, cioè, ogni pretesa di autosufficienza per comprendersi bisognoso di grazia, sempre bisognoso di Lui. Se qualcuno dice: “Qual è la via più breve per incontrare Gesù?”, “Fatti bisognoso, bisognoso di grazia, di perdono, di gioia e lui si avvicinerà a te”».
Nei saluti finali il Papa non dimentica di ricordare a tutti di pregare per la martoriata Ucraina.