Lucio Brunelli, 67 anni, giornalista, ex vaticanista del Tg2 e già direttore delle news di Tv2000 e di Radio InBlu. Foro Ansa. In copertina e sopra: foto Reuters.
«Dopo l’elezione l’ho visto più in pace e più determinato». Davanti a una tazza fumante di tè, nella tranquillità della campagna romana di Sacrofano, scorrono i ricordi. Scotch, il gatto rossiccio che si è fatto ostinatamente adottare da Lucio Brunelli, ronfa sulle sue ginocchia mentre lui, ex vaticanista del Tg2 e direttore ora in pensione di Tv2000 e Radio InBlu, ripercorre le tappe della sua amicizia (ma, schivo com’è, non usa mai questa parola) con papa Francesco.
A sette anni dall’elezione di Jorge Mario Bergoglio al soglio pontificio non è cambiato nulla nello sguardo di quell’uomo che, ancora cardinale di Buenos Aires nel 2005, a casa di Gianni Valente e Stefania Falasca gli chiese di pregare per lui. «Quando mi prese da parte pensavo volesse rimproverarmi per quello che avevo scritto sul ruolo che lui aveva avuto nel conclave che aveva eletto Benedetto XVI, invece mi guardò e mi chiese se potevo pregare per lui. Adesso abbiamo fatto l’abitudine a questa sua richiesta, ma allora mi spiazzò. Restai qualche secondo in silenzio prima di rispondergli che, certo, avrei pregato per lui. Lui si rilassò e mi assicurò che anche lui avrebbe pregato per me e io capii che per lui quella era una cosa fondamentale».
Di persona, come nel libro appena pubblicato dalla San Paolo, Lucio Brunelli racconta esattamente Papa Francesco come l’ho conosciuto io: il prima e il dopo elezione, i ricordi chiave dell’arcivescovo argentino e del Papa, i piccoli aneddoti che illuminano, come flash improvvisi, l’anima di questo pontificato. «Ne avevo sentito parlare nel 2001 da un collega uruguayano. Bergoglio era stato fatto cardinale da poco in quello che, con 44 porpore, fu il concistoro più affollato di tutti i tempi. Nessuno, neanche io, parlammo di quell’argentino che, 17 anni dopo, tolse la porpora – per i suoi delitti sessuali – al cardinale su cui invece si era concentrata quel giorno l’attenzione dei media: lo statunitense Theodore McCarrick». Brunelli ricorda oggi le parole di Guzmán Carriquiry su quel neocardinale che si alzava presto la mattina, che viveva come un monaco, che prendeva i mezzi pubblici per andare nelle villas miserias. Ricorda quello che scrisse Gianni Valente inviato da 30Giorni per descrivere la grave crisi argentina. E poi quel primo incontro del 2005 cui seguirono lettere, telefonate, colloqui «quando veniva a Roma. Anche se non lo intervistai mai, prima dell’elezione. Sapevo che non amava le telecamere e, dopo il primo rifiuto iniziale, non gli chiesi più interviste».
Un uomo schivo, che va al sodo dei rapporti, che sa ascoltare, che sa entrare in intimità con il dolore degli altri. «Quando penso alla vita cristiana, alla mia fede e alla sua», sottolinea Brunelli, «penso proprio allo sguardo. Non a caso papa Francesco si riconosce nel quadro di Caravaggio, nella chiamata di Matteo. Quando parla di sé dice: “Chi sono io? Un peccatore cui il Signore ha guardato”. Anche il suo motto Miserando atque eligendo esprime questo concetto. Questo credo sia il suo tratto distintivo, che non ha mai perso»...
Leggi il testo integrale dell'intervista sul numero 11 di Famiglia Cristiana in edicola da giovedì 12 marzo.