Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
venerdì 11 ottobre 2024
 
Festa del Papà
 

I padri italiani sono i più vecchi d’Europa. Primo figlio a 36 anni

19/03/2024  Il primo figlio a 36 anni. E in Europa? Ecco la media Paese per Paese

Diventare papà per la prima volta è un’esperienza che gli uomini italiani continuano a spostare sempre più avanti nel tempo, più di quanto si faccia negli altri paesi europei. I dati Istat indicano, infatti, che in Italia si diventa papà mediamente a 35,8 anni, mentre in Francia a 33,9 anni, in Germania a 33,2, in Inghilterra a 33,7 anni. Un fenomeno sempre più frequente rispetto al passato che riguarderebbe circa il 70% dei nuovi papà italiani: ciò significa che 1 uomo su 3 è nella condizione di non poter avere figli anche oltre i 36 anni d’età. Una tendenza a ritardare la paternità che non è priva di conseguenze sugli eventuali nascituri: numerose evidenze scientifiche dimostrano che le caratteristiche funzionali dello spermatozoo, cioè motilità, morfologia e anche i danni al Dna, peggiorano con l’aumentare dell’età. Per questo, nel giorno della Festa del Papà, gli esperti della Società Italiana di Andrologia (Sia) puntano i riflettori sull’importanza di anticipare la paternità e, dove non possibile, di preservare la fertilità fin da giovani.

«In Italia l’età in cui si fa il primo figlio è aumentata di 10 anni, passando dai 25 anni della fine degli anni ‘90 ai circa 36 attuali, che pongono il nostro paese in cima alla classifica dell’età media del concepimento in Europa», dichiara Alessandro Palmieri, presidente Sia e professore di Urologia alla Università Federico II di Napoli. Che aggiunge: «Un fenomeno che riguarda quasi il 70% dei nuovi papà italiani. Ne consegue che 1 uomo su 3, superata questa soglia, è senza figli».

I motivi del ritardo sempre maggiore alla paternità

L’aumento della forbice dell’ingresso nella paternità degli uomini italiani essere imputato «a vari motivi di ordine culturale, economico e biologico, ma anche dall’allungamento della vita che nella donna non influenza, invece, la possibilità riproduttiva rimasta ferma intorno ai 50 anni», spiega Palmieri. «Tutto questo concorre nel rendere gli uomini più propensi a un rinvio della paternità, toccando anche estremi che arrivano a superare addirittura i 45-50 anni, per cui – continua – saranno padri-nonni prima che il figlio diventi maggiorenne. La nostra società sta assegnando alla riproduzione un ruolo tardivo dimenticando che la fertilità, sia maschile che femminile, ha il suo picco massimo tra i 20 e i 30 anni e che la potenzialità fecondante del maschio è in declino nelle società occidentali. Oggi hanno un ruolo fondamentale anche le difficoltà economiche, tutti si trovano costretti a ritardare e aspettare di sistemarsi prima di fare figli. Con l’avanzare dell’età però la fertilità diminuisce perché anche gli spermatozoi ‘invecchiano’ e bisogna insegnare alle giovani generazioni l’importanza di una fertilità sana al momento giusto che va preservata fin da giovani».

Gli uomini che ritardano la paternità, soprattutto dopo i 45 anni, non solo devono affrontare problemi di fertilità ma possono mettere a rischio anche la salute del neonato. «Mentre si sa che per le donne dopo i 35 anni possono esserci cambiamenti fisiologici che influiscono sul concepimento, gravidanza e salute del bambino, la maggior parte degli uomini invece – sottolinea Tommaso Cai direttore dell’U.O. di Urologia dell’Ospedale di Trento e segretario della Sia – non è consapevole dell’impatto dell’età dovuto non solo al calo naturale del testosterone, ma anche alla perdita di ‘forma fisica’ degli spermatozoi che può portare anche a cambiamenti nello sperma che vengono trasmessi da genitori a figli nel loro Dna. È ben documentato che concepire in età avanzata comporta il rischio che il bambino nasca o sviluppi nel tempo problemi di salute».

Secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature, ogni anno in più del padre comporterebbe un incremento di 1,51 nuove mutazioni genetiche nei figli, il 25% in più rispetto a quelle che dipendono dalla madre. Un altro studio, pubblicato sempre su Nature, suggerisce che i figli di padri anziani hanno rischio più alto di autismo e schizofrenia nei figli. «In definitiva, così come la fertilità femminile, anche quella maschile, è tempo-dipendente - conclude Palmieri -. È dunque fondamentale sfatare il mito dell’uomo fertile a tutte le età e promuovere invece strategie di informazione, prevenzione e preservazione della fertilità maschile, cominciando dalla giovane età, poiché una volta instaurati i danni non sono reversibili».

 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo