Sono passati 42 anni da quel 26 agosto 1978 quando il Conclave, riunito dopo la morte di Papa Paolo VI, oggi Santo, elegge il cardinale Patriarca di Venezia Albino Luciani. Un anno segnato in Italia dal terrorismo. Un anno che ha visto tre pontefici alla guida della Chiesa: Giovan Battista Montini, Paolo VI, Albino Luciani con il nome di Giovanni Paolo I e Karol Wojtyla, Giovanni Paolo II.
“Dio vi perdoni per quello che avete fatto” dice il cardinale Albino Luciani ai porporati usciti dal Conclave. Il nuovo pontefice si affaccia Loggia centrale di San Pietro per salutare i fedeli riuniti in piazza. Avrebbe voluto dire qualcosa ma il cerimoniale non lo prevede: “non rientra nelle consuetudini”. Lo fa però il giorno successivo, domenica, al suo primo Angelus. Parla in modo semplice e schietto, ma diretto.
“Ieri mattina io sono andato alla Sistina a votare tranquillamente. Mai avrei immaginato quello che stava per succedere”, confida sorridendo, quasi si senta vittima di una improvvisazione. E’ stato eletto al quarto scrutinio di un Conclave-lampo, durato solo un giorno. Sceglie di portare il nome dei due papi che lo hanno preceduto: Giovanni XXIII e Paolo VI. “Mi chiamerò Giovanni Paolo. Io, però – ha aggiunto il neo pontefice – non ho né la ‘sapientia cordis’ di papa Giovanni, né la preparazione e la cultura di papa Paolo, però sono al loro posto, devo cercare di servire la Chiesa. Spero che mi aiuterete con le vostre preghiere”.
E’ un linguaggio nuovo: manca il plurale maiestatico: “io” e non “noi”.
Oggi, a 42 anni da quel giorno la diocesi di Belluno-Feltre, guidata dal vescovo, monsignor Renato Marangoni, ha invitato a Canale d'Agordo, paese natale del pontefice, l’arcivescovo di Ferrara-Comacchio, monsignor Gian Carlo Perego, a presiedere la celebrazione eucaristica durante la quale Perego ha citato il decreto super virtutibus nel quale la Chiesa ha riconosciuto ufficialmente che papa Luciani “ha seguito più da vicino l’esempio di Cristo con l’esercizio eroico delle virtù (…) e, pertanto può essere proposto alla devozione e all’imitazione dei fratelli”. E poi l’impegno e la lealtà che “fa parte di uno stile di vita cristiano” e che “impariamo da Albino Luciani vescovo. Nella bufera del ’68 che rischiava di travolgere il magistero di Paolo VI a difesa della vita e di una concezione cristiana della sessualità e del matrimonio – con l’enciclica Humanae vitae – il Vescovo Luciani – ha detto monsignor Perego - dimostra la sua lealtà e obbedienza, anche quando nel collegio episcopale e nel presbiterio salgono dei distinguo che rischiano di minare la morale cristiana. Come pure il vescovo Luciani non lascerà inascoltato il grido di Paolo VI nell’enciclica Populorum Progressio a favore dei poveri: una preferenza, quella per i poveri, che lo accompagnerà per tutta la sua vita” e che, da papa, ribadirà nel discorso della sua ultima udienza del 27 settembre 1978: “Noi ricordiamo tutti le grandi parole del grande papa Paolo VI: ‘I popoli della fame interpellano in maniera drammatica i popoli dell’opulenza. La Chiesa trasale a questo grido d’angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello”. Il grido di Paolo VI, fatto proprio da papa Luciani, è - ha detto l’arcivescovo estense - il grido oggi di papa Francesco “per i popoli alla fame in cammino e che giungono in Europa. E’ un grido di fame e di vita che non può rimanere inascoltato dal popolo di Dio, che anche su questo rischia l’ipocrisia di girarsi dall’altra parte o di nuovi distinguo - come ‘gli scribi e farisei ipocriti’ ricordati dalla pagina evangelica di Matteo - che fanno dimenticare il dolore e la storia di uomini e donne, madri e padri, giovani e bambini”.
L’arcivescovo ha quindi sottolineato il tema delle migrazioni “caro anche a papa Luciani, che aveva visto il padre, la madre e altri familiari emigranti, partire alla ricerca di un lavoro in Svizzera. La chiamata alla santità chiede a ciascuno di noi, pastori e fedeli, di vincere l’ipocrisia e avere il coraggio della verità e della testimonianza cristiana”. La santità – ha detto - “non cresce sull’egoismo e l’individualismo, ma solo nella condivisione e nell’attenzione agli altri e al mondo”. Albino Luciani era nato proprio qui a Forno di Canale (dal 1964 Canale d’Agordo) in provincia di Belluno, il 17 ottobre 1912. Nei suoi giorni di pontificato – è morto 34 giorni dopo nella notte rra il 28 e il 29 settembre 1978 – si registrano alcuni segni importanti come quello di un ministero diretto, “colloquiale” e semplice con i fedeli come si è visto nelle prime udienze generali.
Dopo la morte molte le richieste per introdurre la causa di beatificazione. La fase diocesana della sua causa si è svolta presso la diocesi di Belluno-Feltre dal 22 novembre 2003 al 10 novembre 2006. L’8 novembre 2017 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione con cui è stato dichiarato Venerabile. Oggi, come scrive Stefania Falasca sull'Osservatore Romano, “manca solo il riconoscimento del miracolo. E papa Luciani potrà salire agli onori degli altari”. E nel giorno del 42° anniversario della sua elezione a pontefice la Fondazione Vaticana a lui intitolata, comunica la nomina, nel consiglio di amministrazione da parte del presidente, il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, di un Comitato Scientifico con personalità “di comprovata competenza ed esperienza”. La Fondazione è nata per volontà di Papa Francesco e sta “lavorando alacremente per consolidare la sua struttura e predisporre attività che contribuiscano a far risaltare l'opera di Giovanni Paolo I”.