La stretta di mano tra papa Francesco e il presidente di Malta, George Vella, in Vaticano, il 16 settembre 2019. Foto Reuters.
Era stato previsto nel maggio del 2020, ma per la pandemia era stato annullato. La visita a Malta, cui papa Francesco teneva particolarmente dopo essere stato a Pantelleria e Lesbo, si svolgerà il 2 e il 3 aprile di quest’anno. La questione dei migranti sarà uno dei temi forti del 36 esimo viaggio apostolico di Bergoglio. Sono previste le visite a La Valletta, Rabat, Floriana e all’isola di Gozo, separata da Malta da soli cinque chilometri di mare.
Francesco sarà il terzo Pontefice, dopo Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a recarsi nell’isola. Il primo vi era andato nel 1990 e poi di nuovo nel 2001, mentre Ratzinger vi era andato nel 2010 per i 1950 anni dal naufragio di San Paolo a Malta.
Francesco, fa sapere la sala stampa, risponde all’invito di tre anni fa rivoltogli dal presidente George Vella. Rispetto però all’appuntamento previsto nel 2020, che sarebbe dovuto durare un solo giorno, Francesco ha deciso di rimanere a dormire una notte nell’isola e allungare il suo soggiorno. Non è ancora deciso, ma probabilmente si manterrà anche il logo deciso due anni fa: una nave in balia delle onde con delle mani protese verso la Croce in segno di aiuto e assistenza e il logo preso dagli Atti degli apostoli: They showed us unusual kindness. Ci trattarono con insolita gentilezza».
Il Papa incontrerà comunità segnate, a Malta come altrove, dagli effetti della pandemia. Uno studio realizzato dalla Facoltà teologica dell’Università di Malta ha indagato sull'impatto che il flagello del Coronavirus ha avuto sulla fede, sul senso della vita e sull'identità cristiana dei maltesi. L’analisi, pubblicata nel luglio 2021, s'è basata su un sondaggio a cui hanno partecipato 1102 persone, di cui il 65% donne e 35% uomini, l’88% cattolici e 11% senza religione. Dalle risposte al questionario che era stato proposto, emerge che “la religiosità è aumentata con l’inizio della pandemia, sebbene nessuno degli intervistati ha attribuito al Covid un’interpretazione apocalittica e da fine del mondo”. Soprattutto tra gli over 30 la preghiera è stata “una fonte di consolazione”; per queste persone “le chiese e le celebrazioni pubbliche non sono diventate superflue”. Le chiese continuano a essere un tratto della “loro identità religiosa”. Tra i più giovani invece la fede ha fatto differenza solo per il 28% di chi ha risposto. Il 74% degli under 30 non si è sentita legata alla comunità parrocchiale e il 63% non ha sentito la mancanza della comunità; per il 57% gli edifici ecclesiali sono diventati superflui ed è solo il 31% che ha sentito la mancanza della Messa.
Rispetto all’intenzione di tornare alle celebrazioni con la riapertura delle chiese, il 44% di chi ha risposto ha detto che avrrebbe ricominciato a frequentare le celebrazioni (32% il dato tra gli under 30), il 19% ha assicurato che ne avrebbe fatto a meno, il 9% che lo avrebbe fatto solo on line. Lo studio è “una lente su come la comunità locale si è comportata e ha affrontato una situazione senza precedenti”, ha commentato Paul Galea, uno degli autori dello studio, ed è “una grande opportunità per pianificare una migliore offerta di assistenza spirituale in una futura situazione di disagio”.