Morte, resurrezione e vita. L’itinerario del credente che lo porta a capire che «la vera fede è quella che ci porta a proteggere i diritti degli altri, con la stessa forza e con lo stesso entusiasmo con cui difendiamo i nostri». E l'unico «estremismo ammesso è quello della carità». Il Papa riassume in tre parole il Vangelo del giorno. Dopo essersi congedato dalla Nunziatura Apostolica, salutato, tra gli altri, da un gruppo di bambini della Scuola Comboniana del Cairo, Francesco si è trasferito all’Air Defense Stadium, lo stadio dell’aeronautica militare egiziana per celebrare messa di fronte a 30mila fedeli. Un gruppo di bambini con il copricapo da faraone lo hanno salutato al termine del suo giro in papa mobile. Davanti all’icona che rappresenta la fuga in Egitto, papa Francesco ha cominciato la sua omelia tradotta in arabo per i fedeli, salutando però i fedeli nella loro lingua, «Al Salamò Alaikum / la pace sia con voi!».
Poi ha cominciato a commentare il Vangelo che parla dell’esperienza dei discepoli di Emmaus. «I due discepoli tornano alla loro vita quotidiana, carichi di delusione e disperazione: il Maestro è morto e quindi è inutile sperare. Erano disorientati, illusi e delusi», spiega il Papa. «Il loro cammino è un tornare indietro; è un allontanarsi dalla dolorosa esperienza del Crocifisso» . La morte, lo scandalo della croce, la sconfitta difficile da capire. «La croce di Cristo era la croce delle loro idee su Dio; la morte di Cristo era una morte di ciò che immaginavano fosse Dio. Erano loro, infatti, i morti nel sepolcro della limitatezza della loro comprensione. Quante volte l’uomo si auto-paralizza, rifiutando di superare la propria idea di Dio, di un dio creato a immagine e somiglianza dell’uomo! Quante volte si dispera, rifiutando di credere che l’onnipotenza di Dio non è onnipotenza di forza, di autorità, ma è soltanto onnipotenza di amore, di perdono e di vita!», dice papa Francesco.
Ma poi cade il velo dai loro occhi, lo riconoscono nello spezzare il pane. E anche noi, «se non ci lasciamo spezzare l’indurimento del nostro cuore e dei nostri pregiudizi, non potremo mai riconoscere il volto di Dio». Ed è Dio stesso che ci aiuta in questo camminando accanto a noi, come Gesù sulla via di Emmaus. È così che si fa strada la risurrezione. « Gesù trasforma la loro disperazione in vita, perché quando svanisce la speranza umana incomincia a brillare quella divina. Quando l’uomo tocca il fondo del fallimento e dell’incapacità, quando si spoglia dell’illusione di essere il migliore, di essere autosufficiente, di essere il centro del mondo, allora Dio gli tende la mano per trasformare la sua notte in alba, la sua afflizione in gioia, la sua morte in risurrezione, il suo cammino all’indietro in ritorno a Gerusalemme, cioè in ritorno alla vita e alla vittoria della Croce».
Ed è la gioia il segno di questa risurrezione, la speranza, l’entusiasmo che spinge alla testimonianza. «Chi non passa attraverso l’esperienza della Croce fino alla Verità della Risurrezione si autocondanna alla disperazione», sottolinea papa Francesco, «Infatti, noi non possiamo incontrare Dio senza crocifiggere prima le nostre idee limitate di un dio che rispecchia la nostra comprensione dell’onnipotenza e del potere». È così che si torna in vita: «L’incontro con Gesù risorto ha trasformato la vita di quei due discepoli, perché incontrare il Risorto trasforma ogni vita e rende feconda qualsiasi sterilità».
La Chiesa diventa testimone di questo, senza trattenere Gesù nella sua «visibilità storica».
«La Chiesa», sprona Francesco, «deve sapere e credere che Egli è vivo con lei e la vivifica nell’Eucaristia, nelle Scritture e nei Sacramenti. L’esperienza dei discepoli di Emmaus ci insegna che non serve riempire i luoghi di culto se i nostri cuori sono svuotati del timore di Dio e della Sua presenza; non serve pregare se la nostra preghiera rivolta a Dio non si trasforma in amore rivolto al fratello; non serve tanta religiosità se non è animata da tanta fede e da tanta carità; non serve curare l’apparenza, perché Dio guarda l’anima e il cuore e detesta l’ipocrisia. Per Dio, è meglio non credere che essere un falso credente, un ipocrita!
La fede vera è quella che ci rende più caritatevoli, più misericordiosi, più onesti e più umani; è quella che anima i cuori per portarli ad amare tutti gratuitamente, senza distinzione e senza preferenze; è quella che ci porta a vedere nell’altro non un nemico da sconfiggere, ma un fratello da amare, da servire e da aiutare; è quella che ci porta a diffondere, a difendere e a vivere la cultura dell’incontro, del dialogo, del rispetto e della fratellanza; ci porta al coraggio di perdonare chi ci offende, di dare una mano a chi è caduto; a vestire chi è nudo, a sfamare l’affamato, a visitare il carcerato, ad aiutare l’orfano, a dar da bere all’assetato, a soccorrere l’anziano e il bisognoso. La vera fede è quella che ci porta a proteggere i diritti degli altri, con la stessa forza e con lo stesso entusiasmo con cui difendiamo i nostri».
E, infine conclude ricordando che «Dio gradisce solo la fede professata con la vita, perché l’unico estremismo ammesso per i credenti è quello della carità! Qualsiasi altro estremismo non viene da Dio e non piace a Lui! Non abbiate paura di aprire il vostro cuore alla luce del Risorto e lasciate che Lui trasformi la vostra incertezza in forza positiva per voi e per gli altri. Non abbiate paura di amare tutti, amici e nemici, perché nell’amore vissuto sta la forza e il tesoro del credente!».