«Ci vediamo dopo», promette a due
passeggeri il ragazzo nordafricano
appena entrato nello scompartimento:
sono un uomo sulla
quarantina e una ragazza più
giovane che ha gli occhi azzurri e
spenti. Tra poche fermate il treno
della droga arriverà a destinazione:
Ceriano Laghetto, Comune della Brianza
immerso nel Parco delle Groane, oltre tremila
ettari di prati e boschi bellissimi che negli ultimi
anni si sono trasformati in una delle principali
piazze di spaccio del Norditalia. Puoi trovarci di
tutto, ma soprattutto tanta eroina, a prezzi imbattibili:
bastano 10 o 15 euro per una dose, la metà
della cocaina.
Sì, l’eroina è tornata, specie tra i giovani.
Il Consiglio nazionale delle ricerche certica che
31 mila teenager l’hanno provata almeno una volta
nel 2015 (in 20 mila l’hanno presa dieci volte
nell’ultimo mese). Allargando lo spettro, sono 300
mila gli under 35 che hanno assunto eroina
l’anno scorso, il triplo rispetto al 2011.
Abbiamo preso il treno a Milano Lambrate alle
12.30, trovandolo pieno di studenti universitari.
Giunti a Seregno, ci hanno detto di scendere per
aspettare il convoglio successivo e, una volta sulla
banchina, siamo stati subito avvicinati dalla ragazza
dagli occhi azzurri in cerca di una sigaretta
e poi da un altro ragazzo nordafricano
con la felpa blu che ci ha chiesto
dei soldi. Si riparte. Su questa linea,
la Seregno-Saronno, l’anno scorso i
carabinieri hanno arrestato sette giovani
che, armati di machete e coltelli,
per mesi hanno rapinato i passeggeri.
Chiediamo a uno studente com’è ora
la situazione: «Non è cambiato niente.
I “tossici” salgono sul treno già “fatti”,
a caccia di soldi per la dose successiva.
Le corse più pericolose sono quelle serali,
ma anche adesso ho visto una decina
di persone che secondo me scenderanno
a Ceriano».
I FANTASMI DEI BOSCHI
Va proprio così.
Giunti alla stazione, un gruppetto lascia
il treno e scompare nei boschi che
costeggiano la ferrovia. Ci sono pure
l’uomo sulla quarantina, il ragazzo che
chiedeva soldi, la ragazza che voleva
una sigaretta e i due nordafricani. C’è
anche un’altra ragazza con un piercing
al naso, che sul treno leggeva un libro.
Trova ad attenderla un altro maghrebino.
È un attimo: gli dà dei soldi,
lui allunga una mano con qualcosa
dentro e poi lei si dirige verso il bosco,
dove incrocia altri giovani: sono
vedette, italiani e dell’Est Europa, che
controllano gli ingressi per conto degli
spacciatori. Sulla banchina restano
Felice e Nunziata, che ci aspettano.
Portano una targhetta con la loro foto
e la scritta “Gruppo supporto territorio”.
Sono marito e moglie e fanno
i volontari per conto del Comune.
«Ogni giorno veniamo qui e appena
vediamo qualcosa che non va avvisiamo
le forze dell’ordine», spiega Felice.
«Abbiamo una figlia di 17 anni. A una
compagna di scuola hanno puntato
un coltello alla gola per portarle via il
portafogli, la catenina e il cellulare»,
aggiunge la moglie. Arriva anche un
altro volontario, Marco: «L’altro giorno,
solo qui intorno alla stazione, ho
raccolto 17 siringhe».
I treni passano ogni mezz’ora e
ogni volta la scena si ripete: quasi tutti
i passeggeri scendono e si dirigono al
parco. C’è anche chi ritorna: due ragazzi
sbucano dalla boscaglia e si siedono
in attesa del primo convoglio. Uno
muove a scatti un braccio e una gamba,
l’altro fatica a reggersi in piedi, è
scheletrico, ha la camicia e i pantaloni
lerci e le labbra sporche di sangue.
Ci raggiungono il sindaco di Ceriano,
Dante Cattaneo, e il comandante
della Polizia locale, il commissario
Giuseppe Sessa. A lui indichiamo i
due ragazzi. Basta uno sguardo: «Li conosco
bene, sono eroinomani: due povere
vittime». Si avvicina e chiede loro
i documenti e se hanno precedenti penali.
I primi non ce li hanno, i secondi
sì: detenzione di sostanze stupefacenti
il primo, maltrattamenti il secondo.
«Di che cosa vi “fate”?», chiede loro il
comandante. Solo uno risponde: «Cocaina
e, a volte, eroina».
Sanno cosa li aspetta: un foglio di
via, cioè il divieto a ritornare qui che,
se infranto, comporta l’arresto. Il ragazzo
con i vestiti sporchi si dispera:
«Ho già un foglio di via di Milano, non
me ne dia un altro… La prego, non sono
un criminale, sto cercando di comportarmi
bene». Ma Sessa deve fare il
suo dovere e li affida ai suoi uomini.
Poi si ferma davanti a una postazione
per l’energia elettrica: «Questo, finché
non lo abbiamo scoperto, era uno
dei tanti nascondigli per la droga. Gli
eroinomani vengono qui perché costa
la metà di Milano ed è di migliore qualità.
Lo stesso vale per le altre droghe.
Chi sono i consumatori? C’è il disoccupato
e il professionista in giacca
e cravatta, lo studente e l’ultracinquantenne
che ha ripreso a bucarsi
o non ha mai smesso. È una battaglia
impari: qualche giorno fa siamo entrati
per un controllo in tre e abbiamo
contato 15 spacciatori. Anche i carabinieri
e i poliziotti fanno quello che
possono con le forze che hanno». Accompagnati
dal comandante e dal sindaco,
ci dirigiamo verso il bosco. «Non
troveremo nessuno, sicuramente le
“vedette” ci hanno già visto». E, infatti,
mentre ci avviciniamo un ragazzo e
una ragazza sbucano dal nulla, attraversano
di corsa i binari e si infilano
tra la vegetazione.
Entrati nel bosco, notiamo un paio
di jeans a terra, mentre da alcuni rami
penzolano sacchetti di plastica: «Sono
segnali per i tossicodipendenti», spiega
il comandante. Molti alberi sono
tagliati. «L’hanno fatto i pusher per
avere spazio per i bivacchi. Spesso anche
chi si droga si ferma poi a dormire
in sacco a pelo». Si cammina tra carta
stagnola bruciacchiata, rifiuti di ogni
tipo, biciclette abbandonate e tante
siringhe. Davanti a un grosso albero
è rimasto tutto l’occorrente per una
dose di eroina: il cucchiaio per scaldarla,
le siringhe, la bottiglietta coperta
di carta stagnola per fumarla.
Il sindaco Cattaneo, leghista al secondo
mandato, 33 anni, due figli di 2 e
4, è sconsolato: «Siamo venuti a pulire
la scorsa settimana e ora è di nuovo in
queste condizioni. Ho scritto a Renzi
e ad Alfano chiedendo l’invio dell’esercito
come è stato fatto a Prato,
ma non ho ricevuto risposta».
Usciti dal bosco, ai bordi della ferrovia ritroviamo i tre maghrebini. Il
comandante ne riconosce due: uno
spaccia e l’altro rifornisce i pusher di
cibo. Ma sarebbe inutile perquisirli
alla ricerca di droga. Il terzo invece non
l’ha mai visto. Dice di essere venuto
qui a trovare il fratello, ma confessa di
avere una condanna per spaccio. Il comandante
lo porta con sé per noticare
anche a lui un foglio di via.
Salutiamo lui e il sindaco e torniamo
alla ferrovia. La scena è questa:
da un lato ci sono solo spacciatori,
dall’altro solo tossicodipendenti. Saliamo
sul primo treno per Milano. In
un vagone vuoto incrociamo un ragazzo
che in tutta tranquillità arrotola
sigarette di marijuana e la ragazza con
il piercing che ha riaperto il suo libro.
Scende a Seregno. Alla madre forse dirà
di aver studiato con un’amica. Invece
domani tornerà nel bosco, dove al posto
dei funghi spuntano siringhe.
LA TESTIMONIANZA: «HO VISTO GLI AMICI BUCARSI E HO CAPITO CHE DOVEVO SMETTERE»
Sergio (nome di fantasia) viene
a prenderci alla stazione in camion.
Ha 20 anni, è sempre pronto alla
battuta e suona il clacson quando sul
marciapiede nota una ragazza carina.
Insomma, è un ragazzo come tanti. Solo
sei mesi fa era invece un tossicomane
che ogni sera vedeva i suoi amici con
l’ago della siringa di eroina nel braccio.
Ci fermiamo davanti alla comunità
Exodus di Lonate Pozzolo, nel Varesotto,
dove si sta curando. In questo
momento ci sono tre ospiti che stanno
cercando di venir fuori dall’eroina, ma
preferiscono non parlare. Sergio invece
racconta di aver iniziato a drogarsi
a 18 anni. «Frequentavo il liceo
scientifico e volevo iscrivermi
all’università. Non avevo problemi in
famiglia. Ho iniziato così, per provare.
E ho provato di tutto, dalla marijuana
a droghe sintetiche come lo speed,
l’ecstasy, la ketamina». L’eroina no,
ed è stata la sua salvezza.
«Ci ritrovavamo nei rave party, feste
illegali organizzate in campagna.
Gli spacciatori ci vendevano la droga
e poi noi ci appartavamo in un camper.
Io dopo averla consumata, passata
l’euforia iniziale, stavo malissimo, ma
i ragazzi che vedevo accanto a me con
la siringa nel braccio erano dei morti
viventi. Molti prendevano cocaina prima
di ballare e eroina dopo, per calmarsi.
Mi raccontavano che per loro l’eroina
era l’ultimo stadio dopo aver provato
tutte le sostanze che usavo io. Alcuni,
alla fine, sono morti. Ho capito che
non volevo ridurmi come loro, che
volevo vivere. Così ho parlato con i miei
genitori e sono venuto nella comunità
di don Mazzi». Sergio è di Ferrara, dove
torna una volta al mese per rivedere
i genitori. «I miei amici no, perché sono
ancora schiavi della droga. Per questo
immagino il mio futuro qui».
L'ANALISI DI DON CIOTTI: «UN’EMERGENZA DA COMBATTERE CON LA PREVENZIONE»
Il consumo di massa dell’eroina, dopo aver
toccato i suoi picchi negli anni ’80 e ’90 – tra
overdose, Aids, epatiti, si stimano circa 50
mila vittime – sembrava soppiantato dalle
cosiddette “droghe da prestazione” come
la cocaina e l’ecstasy. L’eroina continuava
a essere assunta, sniffata o fumata, ma
per contrastare gli stati di agitazione che
emergono al calare degli stimolanti. Ora però
assistiamo a un ritorno dell’eroina non più solo
come “rimedio” ma come consumo specifico,
il che ha reintrodotto le vecchie e più rischiose
modalità di assunzione come quella endovena.
Cosa c’è dietro? C’è, ovviamente,
la convenienza delle mafie.
È noto che in questi anni c’è stata, in
Afghanistan ma anche in “nuove frontiere”
del narcotraffico come il Messico, una
sovrapproduzione di oppio, con una forte
immissione di eroina nel mercato a prezzi
accessibili. Ma ci sono innanzitutto, non va mai
dimenticato, le persone con le loro fragilità.
Alla base di una dipendenza di eroina agiscono
quasi sempre tre fattori: effetti della sostanza,
contesto che ne facilita l’uso e vulnerabilità
individuale. L’abuso di eroina nasce da storie
difficili, biografie dissestate, episodi di violenza
e di abbandono, povertà materiali e culturali.
Ancora una volta la sfida si gioca a tre livelli:
educazione, prevenzione, accoglienza. Ma per
affrontarla occorre un’inversione di marcia.
In questi anni c’è stato un taglio delle politiche
sociali e una riduzione del 50% dei servizi.
Chi ne paga le conseguenze non sono solo
le persone in difficoltà e le loro famiglie, ma la
società nel suo insieme. I servizi non sono solo
“assistenza” ma corresponsabilità, crescita
culturale e etica di una comunità, alimento
di bene comune.“Persone, non problemi”
era una delle frasi ispiratrici dell’impegno
del Gruppo Abele negli anni ’70 e ’80. Oggi,
se non invertiamo la marcia, rischia di dover
essere riformulato in un più allarmante
“Persone, non bilanci”.
Don Luigi Ciotti
Fondatore del Gruppo Abele e di Libera