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Benessere

Parkinson, le medicine buone alleate

13/04/2015  Per decenni, si è pensato che l’unica terapia efficace fosse anche responsabile di gravi eff etti collaterali. Uno studio della Fondazione Grigioni dimostra che le complicazioni non dipendono dai farmaci.

Un’ottima notizia per i malati di Parkinson: è stato dimostrato, infatti, che le complicazioni motorie della malattia non dipendono dai farmaci e, in particolare, dalla levodopa. Per questo, è inutile posticipare la cura che, anzi, deve essere iniziata subito, il più presto possibile.

Un vero mutamento di orizzonte che mette fi nalmente un punto fermo in un dibattito che, ormai, continua da oltre 40 anni. Lo studio che ha condotto a questo risultato è stato promosso dalla Fondazione Grigioni (uno degli enti di ricerca più attivi in quest’ambito). «Ancora oggi», spiega Gianni Pezzoli, presidente della Fondazione e dell’Associazione italiana parkinsoniani, oltre che direttore del Centro Parkinson di Milano, «la levodopa è il farmaco più effi cace e il meglio tollerato.

Purtroppo, a distanza di diversi anni, compaiono effetti collaterali che, fino a ora, si pensava dipendessero dalle dosi e dalla durata d’uso. Per questo motivo, i neurologi erano restii a prescrivere da subito la terapia». Insomma, l’unica cura davvero valida rischiava di non essere somministrata, proprio per paura delle complicazioni. «Noi dimostriamo che non è così», chiarisce Pezzoli che ha assistito, tra gli altri, papa Giovanni Paolo II e il cardinale Carlo Maria Martini.

Supportati dalla Fondazione Grigioni, i ricercatori del Centro Parkinson di Milano in collaborazione con Gianni Pezzoli direttore del Centro Parkinson di Milano, presidente Fondazione Grigioni e Aip Il Centro di Milano ha in cura 25 mila pazienti ParKinson (che, con i suoi oltre 25 mila pazienti, è uno dei più importanti al mondo) sono andati fi no in Ghana e hanno raccolto dati per quattro anni, con l’obiettivo di verifi care se fosse fondata la cosiddetta “fobia della levodopa”.

«In Africa», ammette il neurologo, «abbiamo potuto esaminare persone che non erano mai state trattate farmacologicamente, perché le medicine lì costano e non vengono acquistate. Attraverso il confronto con pazienti italiani, siamo riusciti a dimostrare che l’insorgenza delle complicazioni è indipendente dalla durata della terapia, ma legata alla progressione naturale della malattia». Quindi: ritardare le cure non porta alcun beneficio al paziente, che invece potrebbe soff rire per via di sintomi motori non controllati. Tutto è iniziato nel dicembre 2008, da un progetto sviluppato dal Centro Parkinson di Milano con l’ospedale dei missionari Comboniani in una piccola cittadina del Ghana, Sogakope, rispondendo a un desiderio del cardinale Martini. Nel corso del tempo, la collaborazione si è estesa ai due ospedali universitari di Accra e Kumasi. «I risultati», chiarisce Pezzoli, «hanno dimostrato che una terapia a basso dosaggio di levodopa può essere somministrata già al momento della diagnosi. Noi abbiamo già cominciato a farlo nel nostro Centro ».

Unica attenzione è che il trattamento sia fatto su misura, con dosaggi calcolati in base al peso corporeo. «Purtroppo», specifica Pezzoli, «il Parkinson non può essere curato. Sappiamo che si tratta di una malattia da accumulo di proteine che non vengono degradate in modo corretto, ma non ne conosciamo la ragione. Oggi i nostri sforzi sono tesi soprattutto a ridurre o arrestarne la progressione. E i risultati migliorano continuamente ». Da 25 anni, l’Associazione (www.parkinson. it) – anche attraverso il suo sito Internet, con 42 mila pagine – mette a disposizione dei malati e parenti tutte le informazioni necessarie per far fronte a ogni evenienza.

 
 
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