Un’ottima notizia per i malati di
Parkinson: è stato dimostrato,
infatti, che le complicazioni
motorie della malattia non
dipendono dai farmaci e, in particolare,
dalla levodopa. Per questo, è inutile posticipare
la cura che, anzi, deve essere iniziata
subito, il più presto possibile.
Un vero mutamento di orizzonte che mette
fi nalmente un punto fermo in un dibattito
che, ormai, continua da oltre 40 anni.
Lo studio che ha condotto a questo risultato
è stato promosso dalla Fondazione
Grigioni (uno degli enti di ricerca più
attivi in quest’ambito). «Ancora oggi»,
spiega Gianni Pezzoli, presidente della
Fondazione e dell’Associazione italiana
parkinsoniani, oltre che direttore del
Centro Parkinson di Milano, «la levodopa
è il farmaco più effi cace e il meglio tollerato.
Purtroppo, a distanza di diversi anni,
compaiono effetti collaterali che, fino
a ora, si pensava dipendessero dalle dosi
e dalla durata d’uso. Per questo motivo,
i neurologi erano restii a prescrivere da
subito la terapia». Insomma, l’unica cura
davvero valida rischiava di non essere
somministrata, proprio per paura delle
complicazioni. «Noi dimostriamo che
non è così», chiarisce Pezzoli che ha assistito,
tra gli altri, papa Giovanni Paolo II e
il cardinale Carlo Maria Martini.
Supportati dalla Fondazione Grigioni, i
ricercatori del Centro Parkinson di Milano
in collaborazione con
Gianni Pezzoli
direttore del Centro Parkinson di Milano,
presidente Fondazione Grigioni e Aip
Il Centro
di Milano
ha in cura
25 mila
pazienti
ParKinson
(che, con i suoi oltre 25 mila pazienti, è uno
dei più importanti al mondo) sono andati
fi no in Ghana e hanno raccolto dati per
quattro anni, con l’obiettivo di verifi care
se fosse fondata la cosiddetta “fobia della
levodopa”.
«In Africa», ammette il neurologo,
«abbiamo potuto esaminare persone
che non erano mai state trattate farmacologicamente,
perché le medicine lì costano
e non vengono acquistate. Attraverso
il confronto con pazienti italiani, siamo riusciti
a dimostrare che l’insorgenza delle complicazioni è indipendente dalla durata
della terapia, ma legata alla progressione
naturale della malattia». Quindi: ritardare
le cure non porta alcun beneficio al paziente,
che invece potrebbe soff rire per via di
sintomi motori non controllati.
Tutto è iniziato nel dicembre 2008, da
un progetto sviluppato dal Centro Parkinson
di Milano con l’ospedale dei missionari
Comboniani in una piccola cittadina
del Ghana, Sogakope, rispondendo a un
desiderio del cardinale Martini. Nel corso del tempo, la collaborazione si è estesa ai
due ospedali universitari di Accra e Kumasi.
«I risultati», chiarisce Pezzoli, «hanno
dimostrato che una terapia a basso dosaggio
di levodopa può essere somministrata
già al momento della diagnosi. Noi abbiamo
già cominciato a farlo nel nostro Centro
».
Unica attenzione è che il trattamento
sia fatto su misura, con dosaggi calcolati in
base al peso corporeo.
«Purtroppo», specifica Pezzoli, «il Parkinson
non può essere curato. Sappiamo
che si tratta di una malattia da accumulo
di proteine che non vengono degradate
in modo corretto, ma non ne conosciamo
la ragione. Oggi i nostri sforzi sono tesi
soprattutto a ridurre o arrestarne la progressione.
E i risultati migliorano continuamente
».
Da 25 anni, l’Associazione (www.parkinson.
it) – anche attraverso il suo sito
Internet, con 42 mila pagine – mette a
disposizione dei malati e parenti tutte le
informazioni necessarie per far fronte a
ogni evenienza.