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venerdì 13 dicembre 2024
 
L'esperto di adozioni
 

Parla l'esperto: «Ci è voluto il giusto tempo per valutare Alex e Martina»

26/05/2016  Intervista a Marco Giordano, presidente della Fondazione progetto famiglia, che spiega i meccanismi che portano i periti a capire se una coppia criminale è in grado di accudire i figli. Le comunità sono luoghi caldi e accoglienti, e non ci saranno traumi per il bambino quando andrà in adozione.

Abbiamo chiesto a Marco Giordano, presidente nazionale della Federazione progetto famiglia, un commento alla  relazione dei due periti del Tribunale dei minorenni di Milano sulla non capacità genitoriale di Alexander Boettcher e Martina Levato.

 Nove mesi per decidere non sono troppi?

«Da un lato la legge italiana sancisce il diritto del bambino a crescere nella propria famiglia, con i suoi genitori biologici. Dall’altro quando sussistono dei problemi gravissimi, prevale il diritto al benessere del bambino e occorre individuare un’altra famiglia a cui affidarlo. La valutazione se la famiglia d’origine sia in grado di accudirlo o meno non riguarda solo la situazione attuale, ma anche i suoi possibili sviluppi. Tutto ciò richiede una conoscenza approfondita e non può basarsi solo su un fatto esterno oggettivo. Ovvero non è automatico che essersi macchiati di un fatto grave mi renda inadatto a fungere da genitore. I periti hanno quindi bisogno di fare più colloqui. Pur augurandoci che il tempo necessario sia il più breve possibile, sarebbe un errore  e un’ingiustizia togliere un figlio a un genitore prima di aver acquisito tutti gli elementi di valutazione».    
Questo tempo in cui il bambino ha trascorso in una comunità non ha ripercussioni sul suo vissuto psicologico?
«Se avesse vissuto questi nove mesi in un luogo anaffettivo ci sarebbero delle conseguenze. Ma le case di accoglienza sono in grado di assicurare una relazione calda e costante. Nel successivo passaggio alla coppia adottiva si osservano le necessarie cautele affinché non ci sia uno strappo tra le figure di riferimento. A novembre 2015 è entrata in vigore la legge 173 che sancisce in modo forte il tema della continuità degli affetti. Nel momento in cui il bimbo viene adottato non perderà del tutto la relazione con chi lo aveva accudito fino a quel momento evitando così traumatizzazione».
Ma aver trascorso del tempo con la madre, che aveva diritto a vederlo qualche ora a settimana,  non renderà doloroso il definitivo distacco?
«Questa possibilità concessa alla madre, e avvenuta di in situazione di sicurezza per il bambino,  ha favorito l’osservazione e la valutazione della sua capacità di accudimento.  Poche ore in braccio a un adulto non hanno conseguenze per il piccolo nei primi mesi di vita».
Ora però ci sarà da attendere eventuali ricorsi…
«Nel momento in cui il tribunale dei minori apre la procedura di adottabilità, in attesa del ricorso il minore può già essere affidato alla famiglia adottiva per ridurre così la sua permanenza in comunità».
Ma il bambino crescendo dovrà conoscere le sue origini?
«A mio parer anche la famiglia adottiva dovrà essere tenuta all’oscuro di quale sia la storia del bimbo; proprio per evitare di lasciarsi condizionare. Il bambino poi ha diritto a sapere che è stato adottato ma non a conoscere  le vicende  dei suoi genitori naturali. In seguito, in età adulta, se lo desidererà  potrà venire a conoscenza delle sue origini».   

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