D’accordo, siamo ancora nella società dell’immagine. Che non è stata certo inventata da Berlusconi, anche se il Cavaliere ha saputo per diciassette anni esserne il re. Proprio per questo continueremo a badare alle apparenze, a guardare il potere anche dall’esterno per giudicarlo, perché in fondo anche la forma è sostanza. Proprio così, non illudiamoci, siamo ancora nella società dell'immagine. Ma la notizia è che è cambiata l'immagine.
Basta ripercorrere le prime due giornate romane del neosenatore a vita Mario Monti, giunto sabato a Roma proveniente da Berlino, su un volo di linea, senza nemmeno passare da Milano, la sua città, e fotografato con il suo bravo trolley all’aeroporto di Fiumicino. Un breve passaggio all’hotel (elegante ma non sfarzoso), poi al Quirinale intorno alle 18. Abito scuro, cravatta azzurra, il Professore si trattiene con il presidente Giorgio Napolitano circa due ore. Poi il ritorno in hotel, nel rione che porta il suo nome, Monti.
Poco prima delle 21 il professore lascia di nuovo l’albergo, dribbla educatamente chi prova a rivolgergli una domanda, si infila in auto e si allontana diretto alla stazione Termini per andare a prendere la moglie Elsa Antonioli, altro esempio di eleganza, classe e sobrietà.
Ma è stato oggi, domenica, che Monti ha saputo rinnovare il suo stile, così antitetico a quello di Berlusconi. Nonostante “la splendida giornata” di sole, come il senatore ha sottolineato ai cronisti lasciando l’albergo, c’è stato il lavoro intenso in via della Dogana Vecchia (“C’è un grande lavoro da fare”), nemmeno il tempo di andare a pranzo con la signora Elsa. Chi lo ha visto da vicino ha potuto assicurare che non era provvisto di cerone arancione sul viso. E che i capelli (bianchi) erano proprio i suoi.
Prima, però, la Messa della domenica, cui il senatore non ha rinunciato, nella chiesa di Sant'Ivo alla Sapienza. Con i frati di Assisi deliziati (“E un bel segnale santificare la festa”, ha commentato padre Giuseppe Piemontese). Con il circo dei media, nessuna dimestichezza, anzi molta insofferenza (si dovrà abituare). La sorpresa era infatti ben visibile nel volto del senatore alla vista dell'orda di cronisti, cameraman e fotografi che lo attendevano all'esterno della chiesa, a pochi passi dal Senato.
"Ma questo finisce poi?", si è rivolto a un agente della scorta. No, Professore, questo non finisce. Ma forse finisce un’epoca. L’epoca delle residenze Certose, della passeggiata con bagno di folla in via dei Coronari, delle bandane, degli elicotteri che decollano da Arcore, delle decisioni prese in villa, delle barzellette sporche, delle corna al G-8, dei cucù alla Merkel, delle pacche da venditore sulle spalle ("Mister Obama!!!"), dei ritocchini agli zigomi, della calza sulla telecamera, dei Tarantini e delle D’Addario, delel nipoti di Mubarak, delle veline, delle letterine e delle parlamentine, dei bunga-bunga e di tutto il resto. D'ora in poi dovremo abituarci a un presidente del Consiglio normale, in un Paese che nella stragrande maggioranza è fatto di gente normale. Però, accidenti, che classe, e che fascino la normalità. Quella normalità con cui si fanno sempre cose straordinarie (tipo lavorare in una fabbrica o in una sala operatoria, insegnare in una classe, amministrare una città, gestire un'azienda, un oratorio o un asilo nido, salvare una vita, crescere un figlio. O risanare un Paese, salvandolo dal baratro). E dunque bentornata, normalità.