A luglio, alla Festa del Teatro di San Miniato, “Passio Hominis” ha ricevuto applausi a scena aperta. Lina Sastri, Jacopo Venturiero, Francesco Benedetto, e tutti gli attori dell’opera diretta da Antonio Calenda, vengono acclamati. Accadrà di sicuro anche il il 24 e 25 agosto, alle 19, all’Aquila, nella chiesa di San Bernardino, nell’ambito della manifestazione “Perdonando 2015”. «Lo spettacolo fa toccare con mano la sofferenza di Cristo, straziato tra questa sua umanità e la coscienza della propria missione – spiega don Piero Ciardella, direttore artistico della Fondazione Dramma Popolare -. Perciò si parla di Dio, ma anche di noi. Ma l’opera intende anche suggerire delle vie di redenzione, tra cui il messaggio evangelico che il male non può essere eliminato totalmente, ma può essere arginato dalla compassione, parola tanto cara a papa Francesco o, come dice il regista, dalla “pietas che ci rende solidali”, perché accomunati dalla stessa fragilità».
Il “canovaccio” viene da lontano; Calenda trae l’ispirazione dal testo della monaca amanuense Maria Jacoba Fioria, datato 1576-77, che aveva manoscritto varie tradizioni orali della Passione. «Rinvenni quarant’anni fa queste pergamene preziosissime, custodite nella Biblioteca Nazionale di Roma – racconta Calenda -. Ma, come farne uno spettacolo teatrale? Secondo stilemi archeologici o “contaminandolo” di contemporaneità? Era il 1978, venne assassinato Aldo Moro, uomo simbolo della pacificazione politica. Mi venne naturale un omaggio alla parte dolorosa della nostra storia moderna: la seconda guerra mondiale, gli anni di piombo, le stragi… Nessun testo classico può ritrovare plausibilità sulla scena di oggi, se non ricondotto al presente storico».
Lo spettacolo è una miscellanea, dove il dolore ha la presenza maggiore, ma non mancano momenti più leggeri. Come quando canta l’angelo (Noemi Smorra), frangetta e ali piumate, o quando irrompono sulla scena i cabarrettisti, o quando il diavolo (Luciano Pasini) si palesa dal nulla, vestito di rosso fuoco, sotto il mantello da prestigiatore. La morte del Nazareno (Jacopo Venturiero) è decisa in un consesso di mafiosi, l’annuncio di Giuda (Francesco Benedetto) che consegnerà Cristo alla sua sorte, è scandito dai passi di un tango. Tanti elementi a ricomporre il puzzle della vita di Cristo, e del suo messaggio rivoluzionario. «Un messaggio – sottolinea Lina Sastri - oggi quanto mai necessario. La diversità è la rivoluzione dell’amore; amare l’altro realmente, sacrificarsi per l’altro, vederlo come se fossi tu riflesso, perdonare le offese, è tutto molto difficile, ma è un esercizio che, se riesce, rende più forti».
Come difficile è interpretare Gesù. «Certo, perché non ci sono punti di riferimento nella realtà – afferma Venturiero -. Si tratta di dare corpo e anima ad un uomo che ha sacrificato sé stesso per l’umanità. Ciò che mi ha colpito è che lui soffre di più nel vedere la madre soffrire, che nell’andare a morire». Mentre l’opera viene contestualizzata in un’epoca a noi più vicina, il regista mantiene il linguaggio dell’epoca, musicale, ricco di allitterazioni. «A me piace moltissimo – continua -. In Accademia ero un patito di Alfieri. Linguaggi che sulla carta sembrano distanti, hanno invece il pregio di essere parola agita. Basta leggerla, e prende vita. Così, quello che di primo acchito può dare l’idea di allontanare, invece avvicina. Usando l’italiano non si otterrebbe lo stesso risultato. Non è certamente aramaico, ma ricorda un lingua un po’ancestrale».
«Sono felice, onorata e grata al maestro Calenda per avermi chiamata a interpretare Maria – dice la Sastri -, e a farlo qui a San Miniato, in questa specie di “ritiro spirituale”, dando attenzione alla parola e a quello che la parola porta con sé. D’altronde, all’inizio, fu il Verbo. Dietro la parola, c’è il pensiero, dietro il pensiero, l’azione del pensiero, e dietro l’azione del pensiero, l’emozione che questo suscita. Questo spettacolo è fatto da una compagnia numerosa di giovani attori straordinari. Ci siamo lasciati coinvolgere dal testo, dalla vicenda, dal luogo e dalla sensibilità del regista». Lei non è nuova nel ruolo di Maria. «Maria l’ho interpretata più volte. Ha debuttato con la “Madonna del Carmine”, di Roberto De Simone, poi sono stata Maria nella “Buona Novella” di De Andrè, ma anche nel “San Pietro” con Omar Sharif, in un presepe. E sto per concludere un film di Pupi Avati, dove ancora una volta sono Maria. Non so perché, forse perché ho avuto una madre straordinaria». Interpreta sempre donne forti, che si confrontano con la sofferenza. Fa parte dell’essere donna? «Per fortuna la donna conosce anche la felicità, l’allegria, anche se questo è un momento particolarmente difficile per tutti. Però la donna conosce il segreto dell’amore e il segreto del dolore, le cresce la pancia con un figlio dentro, partorisce con dolore, è madre di sangue dei figli, quindi sa che cosa significa amare senza chiedere nulla in cambio. Conosce la sofferenza meglio dell’essere maschile, riesce a sopportarla e a viverla con maggiore forza». Però la morte di un figlio… «Credo che non ci sia niente di più doloroso per una madre. Una madre, se le muore un figlio, vuole morire anche lei, si sente una superstite della vita».
Gli altri attori: Antongiulio Calenda (Giovanni), Alessandro di Murro (Pietro), Marco Grossi (Caifa), Stefano Galante (Rabi Moises e Pilato), Stefano Vona (Satrapas Beniamin e Centurione), Daniele Parisi (il povero), Bruna Sdao (Magdalena), Jacqueline Bulnes (Marta). Musica dal vivo con la fisarmonica di Fabio Ceccarelli e le percussioni di Tiziano Tetro. Musiche di Germano Mazzocchetti, scene e costumi di Domenico Franchi. Grazie all’impegno del card. Giuseppe Betori, Arcivescovo di Firenze, “Passio Hominis” a novembre verrà rappresentata a Firenze, nella Basilica di San Lorenzo, in occasione del V Convegno Ecclesiale Nazionale.