Il cardinale Sepe e padre Patriciello a una manifestazione. In alto: Patriciello.
Per fortuna non si spengono l'attenzione, lo sdegno e la battaglia civile intorno alla cosiddetta Terra dei fuochi, l'area fortemente inquinata vicino a Giugliano (Napoli) dove è costretta a vivere, ammalarsi e morire una comunità.
Finalmente anche la politica si è attivata, con il decreto "Emergenza ambientale" che affronta il drammatico caso. «La Chiesa è stata la prima a scendere in campo - ha ricordato ieri il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli,
intervenendo a Prima di tutto, Radio 1 - quando ha
percepito la gravità della situazione. C'era bisogno di una
sensibilizzazione della popolazione, su questo tema che
attanagliava tantissima gente. È stata la prima a smuovere
le acque, la prima a scendere nelle strade, nelle piazze,
perché provocare
nelle persone queste malattie terribili è una colpa davanti
a Dio, prima ancora che agli uomini».
Parole durissime, quelle del cardinale: «Già 2 anni fa -
aggiunge Sepe - avevamo fatto un primo appello come vescovi
della Campania, ma poi lo scorso anno e infine quest'anno
abbiamo chiesto di fare presto, perché non si può abbassare
la guardia, non c'è piu tempo, l'aria che si respira è
contro la gente. Sul piano delle urgenze, sicuramente
prioritaria è la bonifica, adesso si sono messe in moto
anche le istituzioni a livello nazionale e regionale,
laddove si individuino le radici di questi veleni bisogna
intervenire per bonificarli, c'è bisogno di un controllo
sanitario, e soprattutto di far emergere dal lavoro nero
quelle imprese nascoste che producono veleni».
In quale direzione sia necessario muoversi lo ha indicato, nella stessa occasione,
il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria,
Federico Cafiero de Raho, ex procuratore aggiunto di Napoli:
«Le sanzioni più efficaci - ha detto - sono la confisca
dei beni, ma anche il ripristino della zona, obbligare cioè
chi ha provocato il danno a porvi rimedio, cosa che ancora
oggi non è prevista». Cafiero de Raho, in merito al
controllo delle società in fase di appalto, ha detto che «la
criminalità ha la forza di riciclarsi e mimetizzarsi e di
trovare imprenditori e volti sempre nuovi. Bisogna
ricominciare a stilare degli elenchi, delle liste pulite di
imprenditori affidabili e arrivati nel mercato da pochi anni,
perché la criminalità sa individuare il campo più lucroso e
immediatamente adattarsi alle esigenze del mercato
costituendo imprese ad hoc. Per partire, ripeto, occorre proprio stilare una lista di imprese
affidabili che operano sul mercato da anni, cristalline e
trasparenti».
Ma è uno dei grandi protagonisti di questa battaglia a prendere nuovamente la parola, padre Maurizio Patriciello, attraverso un libro che uscirà nel mese di febbraio. Il titolo è quanto mai eloquente: Non aspettiamo l'Apocalisse (Rizzoli). In questo testo, che è insieme una testimonianza, una denuncia e un appello, padre Patriciello evoca quelle terribili giornate dell'agosto 2010, alla periferia di Napoli, quando tonnellate di materiali di origini sconosciute finivano nei campi destinati all'agricoltura e venivano bruciati, sotto gli occhi di tutti. Padre Maurizio vuole la verità: apre un gruppo su Facebook per denunciare i misfatti della camorra e dare voce alla gente che ha visto ammalarsi e morire di cancro.
Il messaggio che Non aspettiamo l'Apocalisse vuole inviare è che, dietro la formula ormai tristemente nota "Terra dei fuochi", si nasconde il più grave avvelenamento di massa mai avvenuto in un Paese democratico. Dobbiamo impegnarci subito, ora, prima che sia troppo tardi, per liberare questa terra e questa gente, grida padre Patriciello nel libro scritto con Marco Demarco.