Era il
10 settembre 1979: Patti Smith, l’icona del rock alternativo, la
cantante poetessa bohemienne dalla voce selvaggia e graffiante, salì sul
palcoscenico di Firenze, di fronte a 50 mila giovani, per dire addio al
pubblico.
Quattro anni prima era uscito Horses, l’album che, sulle note di
un rock innovativo, la consacrò fra le stelle della musica. Magrissima,
essenziale fin dal look, brillante e provocatoria, anni dopo la Smith ha
ripreso a cantare, è tornata sotto i riflettori.
Oggi, a 62 anni, la ragazza che continua a far cantare l’America e il
mondo con il grande successo Because the night, ha messo da parte la
ribellione giovanile; ha affrontato il dolore per la perdita prematura di
suo marito, il chitarrista Fred Smith, e di suo fratello Tod. Continua a
scrivere poesie, ad amare visceralmente il suo pubblico.
A distanza di trent’anni da quell’addio toscano, Patti Smith torna a
Firenze per il grande evento "I was in Florence": tre giorni a lei dedicati con un’esposizione
di sue fotografie, un reading poetico, un incontro con il pubblico,
fino al concerto in piazza Santa Croce il 10. Un "diario della
memoria" per quest’artista molto legata all’Italia.
Patti Smith, cosa prova nel ricordare il grande concerto di Firenze
del 1979? Cosa significa per lei quell’evento?
«È un ricordo che mi dà grande emozione. Ho sempre desiderato
ritornare per dire grazie a tutte le persone che sono state presenti a quell’evento.
Ancora oggi, quando giro per l’Italia, la gente mi ferma e mi dice: "Patti, nel 1979 anche io ero a Firenze". Con l’Italia ho un
rapporto speciale: adoro la sua cultura, il cibo, l’accoglienza calorosa.
Sono appassionata di opera e ogni anno, a dicembre, mi regalo un soggiorno a
Milano: la mia piccola vacanza romantica».
Trent’anni fa lei lasciò il palcoscenico per prendersi cura della
sua famiglia, per essere madre e moglie...
«Trent’anni fa ho rinunciato alla fama, ma non all’arte. Io sono un’artista,
e ho sempre continuato a esserlo. In quel periodo di silenzio ho letto
molto, ho scritto poesie, mi sono dedicata alla fotografia… Mi sono
allontanata dal palcoscenico, che ovviamente è più remunerativo, ma non è
detto che sia più gratificante. Fare la madre è stata un’esperienza
meravigliosa che mi ha insegnato i valori della vita. E non è un lavoro
meno impegnativo; io non avevo un’inclinazione naturale alla vita
domestica, ma ho dovuto imparare a cambiare i pannolini, a pulire i
pavimenti. Rispetto le donne che scelgono la carriera; ma le madri che si
dedicano alla famiglia non hanno un compito meno importante. Io e mio marito
Fred abbiamo realizzato tanto insieme; ma le nostre imprese più belle sono
i nostri figli».
I suoi due figli, Jackson e Jessica sono entrambi musicisti. Che
rapporto ha con loro?
«Io e Fred siamo stati sempre più preoccupati della loro crescita
umana
e personale più che professionale. Jackson e Jesse hanno obiettivi
molto
diversi da quelli che avevamo io e Fred. Jackson è sposato, vive a
Detroit
e insegna chitarra. Jesse suona il pianoforte e compone; ancora è
alla
ricerca della sua strada. Siamo sempre stati una famiglia molto
unita; ci
siamo sempre sostenuti a vicenda. Con Jesse ci vediamo spesso,
perché
viviamo entrambe a New York. Lei aveva 6 anni quando il padre è
morto. Ma io rivedo nei miei figli l’immagine di Fred. Lui è morto a 45
anni;
è stato un grande uomo, mi ha insegnato tanto».
Una volta lei disse che i più grandi performer di tutti i tempi sono
stati Mick Jagger, Hitler e Gesù Cristo. Non le sembra un accostamento
azzardato e provocatorio?
«L’ho detto tantissimi anni fa. Mi rendo ben conto che stiamo parlando
di personaggi radicalmente diversi fra di loro, ma mi riferivo soltanto al
carisma, alla capacità di comunicare con le masse. Oggi, questa capacità
ce l’ha Obama o Ralph Nader (politico americano candidato alla presidenza,
ndr). Quanto a me, io ho sempre cercato di stabilire un contatto con
il pubblico; non mi interessano le luci e le telecamere, mi interessa la
gente; e voglio che ogni singolo spettatore si senta partecipe, perché
ognuno è importante».
Ha sempre trasmesso messaggi politici. Oggi per cosa vale la pena
cantare?
«Viviamo in un mondo complicato e corrotto. Dobbiamo far sentire a chi
governa che il "noi" esiste ancora, che si può ancora credere nel
potere collettivo delle persone».
Pensa che Barack Obama rappresenti il nuovo sogno americano?
«Per il momento rappresenta la spazzola americana: ha dovuto ripulire l’America
dai danni delle amministrazioni precedenti. Il Paese è in una fase di
ricostruzione: non è ancora il tempo dei sogni».
Il suo libro preferito?
«Porto sempre con me una piccola Bibbia. Di recente ho riletto Pinocchio;
e poi mi piace Peter Pan. Adoro i libri di fiabe di quando ero
piccola».
Quando viaggia c’è qualcosa che porta sempre con sé?
«Un paio di T-shirt per i concerti, alcuni talismani, un’immagine di
san Giorgio a cavallo, dei libri e le fotografie dei miei figli: quelle non
mancano mai».