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sabato 19 aprile 2025
 
 

Il reportage - Paul e i fantasmi della guerra

16/08/2013  La città di Goma vive da ormai ventanni un'infinita guerra civile. Fra gli scontri e le violenze, la Caritas locale e i salesiani operano per il recupero dei piccoli che sono stati costretti a combattere e a uccidere.

Goma, Repubblica democratica del Congo

Paul ha 15 anni, ma ne aveva 11 quando è stato reclutato a forza. Per tre anni ha combattuto con i ribelli delle Fdlr (Forze democratiche per la liberazione del Ruanda) e per un anno con un altro gruppo, chiamato Nyatura.Siamo a Goma, lembo orientale della Repubblica Democratica del Congo, al confine con il Rwanda.

Una terra senza pace. Da metà luglio sono ripresi gli scontri fra truppe governative e i ribelli dell'M23: l'ultima fiammata di una guerra che – tra alti e bassi – dura da decenni. E che ha provocato, secondo le stime, la morte di circa dieci milioni di persone, il numero più alto dopo la Seconda Guerra mondiale.

Ma vittime sono anche le donne violate e costrette a periodici esili, gli anziani e i malati senza assistenza, i bambini senza scuola e senza i più elementari diritti.

Tra loro, i bambini soldato. Li abbiamo incontrati al centro Ngangi dei salesiani, alle porte di Goma. Sono ospiti della sovraffollata struttura da un anno, da quando han dovuto scappare dagli scontri, sfollati tra gli sfollati. Sono una dozzina, ora, presi in carico dal servizio Giustizia e Pace della Caritas locale. Molti altri avrebbero bisogno di cure, ma non ci sono fondi e non ci sono spazi sufficienti. E così si accolgono solo i casi più gravi.

Come quello – appunto – di Paul (nome di fantasia), che sente rumori, si sente perennemente inseguito e si mette a correre, oppure lancia pietre alla gente per “salvarsi”. Soffre di incubi notturni ma anche da sveglio i ricordi del male commesso lo perseguitano. Soffre di idrofobia, ha paura delle chiese, dove si rifiuta di entrare, e dei cimiteri. Vede all'improvviso delle fiamme che gli arrivano addosso.

"Occorre aiutarli ad affrontare e superare i traumi"

«Si tratta di flash legati a quanto ha commesso mentre era soldato» ci spiega Pascal Bashume, psicologo clinico che ha in carico i ragazzi «l'idrofobia gli viene dal ricordo delle persone uccise e gettate nei fiumi; la paura delle chiese è legata a una strage di persone riunite per il culto, a cui lui aveva partecipato. Ricorda le uccisioni, le donne rapite per il comandante, il villaggio a cui hanno dato fuoco, di cui rivede le case bruciate... Spesso rievoca il suo capo, che lo minacciava e lo trattava male: Paul un giorno, esasperato, lo ha ucciso. E così, se da un lato è preda di incubi e fobie, dall'altro continua la tendenza alla violenza, si scontra spesso con gli altri, si batte e si trova a suo agio solo quando vede scorrere il sangue».

Qui ci sono solo i casi più gravi, gli altri stanno in altri quattro “Centri di transito e orientamento” distribuiti in vari villaggi della diocesi di Goma. Il dottor Bashume li cura al meglio delle sue possibilità, aiutandoli ad affrontare e superare i traumi, ad accettare quanto vissuto, a ritrovare la normalità e a riconciliarsi con se stessi e coi rimorsi.

Il programma, coordinato da don Jean Paul Mihigo Nizey, prevede il reinserimento dei bambini nelle famiglie d'origine, ma il percorso è arduo, perché spesso i genitori rifiutano di accogliere chi si è macchiato di colpe tanto gravi. Per questo il programma della Caritas di Goma prevede un lavoro anche con le famiglie e un reinserimento graduale e assistito nel tessuto sociale e se possibile anche a scuola. I progetti sarebbero tanti, sarebbe utile poter insegnare un mestiere ai ragazzini, per evitare che, non accolti e senza impiego, ricadano preda dei gruppi armati.

Lo psicologo che lavora in un container

  

Ma si lavora tra mille difficoltà: «Abbiamo iniziato nel febbraio 2012 in un bel centro a Rutshuru – città ora in mano ai ribelli –, dove avevamo un edificio (realizzato grazie alla Caritas del Nordest, all'ong Acs e alla Cooperazione italiana) e molto spazio anche per lavori manuali, che per questi ragazzi sono terapeutici. Ma dopo soli tre mesi abbiamo dovuto scappare. E da un anno siamo qui, ospiti, in attesa di trovare una sistemazione meno precaria».

L'ufficio del dottor Bashume è in un container. Mentre parliamo, mostra sul suo portatile il lavoro che fa con i ragazzi, ma a metà il Pc si spegne: la batteria è esaurita e nel container non c'è modo di ricaricarla. Si lavora come si può.

Il programma è stato sostenuto nel 2012 dalla Caritas del Triveneto, ma ora sono alla ricerca di altri donatori
. Ogni volta che dall'Unicef e da altri soggetti arrivano bandi, sottopongono il loro progetto, in fiduciosa attesa di poter presto ospitare altri bambini che hanno urgente bisogno di cure.

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