Il capannone bruciato con i rifiuti abusivi a Corteolona (Pavia), foto di Giovanni Mereghetti
Un impianto per lo stoccaggio di rifiuti che all’improvviso prende fuoco, sprigionando un’enorme nuvola nera e un incendio domato dopo ben quindici giorni dai pompieri. Pochi mesi dopo la scena si ripete, stavolta in un capannone abbandonato ma colmo di immondizia, con il sindaco che ordina alla sua gente di chiudere porte e finestre, di non mangiare frutta e verdura dei propri orti e di non far pascolare gli animali. Perché quel fumo nero è pieno di diossina, e di diossina si muore. Solo che non siamo ad Acerra o a Caivano, nella Campania di Gomorra: la terra dei fuochi sembra essersi spostata tra Mortara e Corteolona, tra le risaie della provincia pavese dove, solo dal maggio dell’anno scorso, si sono contati ben sei incendi di questo tipo.
Cosa sta succedendo? Per capirlo, siamo partiti da Corteolona, dove si è verificato l’ultimo episodio. Il vicesindaco Alessandro Buroni ci accompagna davanti allo scheletro del capannone di 2 mila metri quadri andato a fuoco il 3 gennaio con tonnellate di rifiuti abusivamente accatastati.
Tre mesi dopo, si vedono ancora resti di mobili, materiale ferroso e soprattutto tanta plastica. E alcuni teloni bianchi, per coprire quanto rimane di altri rifiuti che, sotto forma di polveri, potrebbero, spinti dal vento, ancora ammorbare l’aria.
Molti sono già trattati sotto forma di ecoballe. «Evidentemente chi li ha prodotti li ha fatti portare qui anziché al termovalorizzatore per risparmiare», spiega il vicesindaco. «Per fortuna l’emergenza è durata solo un giorno e mezzo, perché le analisi dell’Arpa hanno certificato che i livelli di diossina erano tornati nella norma. Ora l’area è stata messa sotto sequestro, in attesa della bonifica. Intanto, su indicazione del prefetto, ho segnalato altri sei siti abbandonati che potrebbero essere usati per attività illecite».
Ci troviamo a circa un chilometro dal centro di Corteolona, in una zona industriale dove già dallo scorso settembre i cittadini avevano notato uno strano via vai di camion attorno a quel capannone. «Ce l’hanno riferito e noi abbiamo passato l’informazione ai carabinieri che hanno piazzato una telecamera», racconta ancora Buroni.
Forse chi ha organizzato il traffico se n’è accorto e ha deciso di non correre rischi e ha bruciato tutto. Sarebbe un caso da manuale, come spiega Sergio Cannavò, responsabile ambiente e legalità di Legambiente: «Il fuoco è il modo più semplice per occultare i vari passaggi che hanno portato un rifiuto da uno stabilimento a una discarica abusiva. Oppure, nel caso di un deposito autorizzato, per nascondere la presenza di materiali che non dovrebbero trovarsi lì». Un concetto ribadito da Massimiliano Corsano, comandante del Noe di Milano, il nucleo dei carabinieri specializzati in reati ambientali, durante un convegno organizzato proprio a Corteolona: «Sempre più spesso si registrano operatori che si sono piegati a dinamiche delinquenziali pur di sopravvivere economicamente. E ora i rifiuti dal Sud arrivano al Nord».
Lasciamo Corteolona e percorriamo su strade statali oltre cento chilometri per arrivare dalla parte opposta della provincia, a Mortara. Anche in questo caso, in una zona industriale non distante dal centro abitato, osserviamo quel che resta dell’impianto della Eredi Bertè, un’azienda specializzata nello stoccaggio e nel trattamento di rifiuti, anche pericolosi.
La nuvola nera visibile a decine di chilometri di distanza ha svegliato i mortaresi in un limpido mattino dello scorso settembre, costringendo il sindaco a chiudere le scuole e a invitare i cittadini a barricarsi in casa. Per fortuna, anche in questo caso, l’allarme non è durato molto ma, come fa notare ancora Cannavò, «ci troviamo in piena Pianura padana, l’area più inquinata d’Europa e questi fumi non fanno sicuramente bene, anche perché da qualche parte le polveri si sono alla fine depositate».
Con noi c’è il suo collega di Legambiente Gianfranco Bernardinello, che fa notare subito una strana coincidenza: «L’incendio è avvenuto il giorno prima di un controllo programmato dall’Arpa». Secondo le stime dei vigili del fuoco, al momento dell’incendio dentro l’impianto erano ammassati 12 mila tonnellate di rifiuti, a fronte di un massimo autorizzato di 6.800. «In base alle normative, è necessario che ogni cumulo sia distanziato dall’altro di almeno quattro metri e che ci sia una netta separazione con quelli potenzialmente più infiammabili», aggiunge Bernardinello. Pur considerando lo sfacelo prodotto dal fuoco, osservando l’ammasso indistinto di rifiuti che non sono stati lambiti dalle fiamme, non sembra proprio che queste prescrizioni siano state rispettate. «In queste condizioni, basta un piccolo cortocircuito o un mozzicone di sigaretta per incendiare tutto».
In questi mesi sui giornali locali hanno parlato di un “triangolo della diossina”, composto da Corteolona, Mortara e Parona. Ci spostiamo dunque nell’ultimo vertice, Parona, dove negli ultimi mesi ci sono stati ben tre incendi: uno al termovalorizzatore e due alla Aboneco, un’altra ditta che si occupa del trattamento di riuti. L’amministratore Marco Dellatorre accetta di farci visitare l’impianto: «In realtà l’incendio di una certa portata è stato solo uno, quello dello scorso maggio e che comunque è stato domato in quattro ore. Era una giornata di forte vento e gran caldo e in queste condizioni basta che la batteria di un cellulare faccia un cortocircuito per innescare le fiamme. Da allora abbiamo incrementato i nostri dispositivi di sicurezza, aumentando la disponibilità d’acqua e installando telecamere a infrarossi che verificano la temperatura e avvisano in caso di pericolo. Detto questo, è doveroso scusarmi lo stesso con la popolazione per i disagi che abbiamo provocato».
Dellatorre passa poi a mostrare tutti i passaggi dal momento in cui i camion entrano in ditta fino a quando le parti non riciclabili vengono ammassate in attesa di essere avviate al termovalorizzatore per lo smaltimento. Conferma che negli ultimi anni, specie da quando la Cina ha chiuso le frontiere ai rifiuti esteri, i costi per questo smaltimento sono molto aumentati.
Gli chiediamo, dunque, se per un imprenditore come lui non ci sia la tentazione di bruciare i materiali in eccesso e buonanotte. «Certo, è una possibilità», risponde. «Di sicuro io non l’ho mai fatto». Ha mai ricevuto – domandiamo – minacce o strane proposte? «Minacce per fortuna no. Però una volta si è presentato da me un uomo dicendomi che aveva delle latte di vernici e di diserbanti da smaltire. Gli ho spiegato che c’è una procedura ben precisa da seguire e cioè che avrebbe dovuto pagare le analisi sul contenuto del rifiuto e il costo dello smaltimento e che il trasporto sarebbe avvenuto con nostri camion. Cos’è successo? Non l’ho più visto. Sicuramente avrà trovato un altro sistema per smaltirli».
Saranno finiti altrove, magari a Bornasco, dove pochi giorni fa è venuta alla luce una discarica a cielo aperto, la più grande finora individuata nel Pavese: una montagna di 20 mila metri cubi di rifiuti. Tra contenitori di vernici e solventi, lastre di eternit, pneumatici, componenti elettronici, carcasse d’auto, lavatrici, i carabinieri hanno trovato pure delle lapidi di marmo.
Foto di Giovanni Mereghetti