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sabato 26 aprile 2025
 
POLITICA
 

Pd, la scissione è rinviata a data da destinarsi

14/12/2014 

Scissione? Sì, anzi no. Diciamo che si potrebbe, “ma anche no”, come direbbe Veltroni. I ribelli della cosiddetta “minoranza” Pd hanno fatto la voce grossa nei loro interventi all’assemblea nazionale, ma senza conseguenze. Il più duro è stato l’ex ministro Fassina, che rivolgendosi al premier-segretario Renzi a muso duro, gli ha intimato: “Se vuoi andare ad elezioni dillo, smettila di scaricare la responsabilità sulle spalle degli altri”. Perché la minoranza “non fa diktat e non vuole andare al voto prima del 2018”. Il più tenero è stato Pippo Civati, l’esponente milanese più brillante e simpatico dei “dem”: “Le minoranze non hanno complotti in mente. Vogliono solo fare le cose meglio, Renzi accetti qualche consiglio”. Dai Matteo, almeno qualche consiglio. Il più esplicito, alla fine, è stato Cuperlo: “Scissione? Accantoniamo questa parola”. Già, accantoniamo.

Quanto alla “vecchia guardia”, all’assemblea si è eclissata. D’Alema, reduce dai fischi del 12 dicembre, ha preferito farsi notare di più non venendo, parafrasando il Moretti di Ecce Bombo. Bersani ha marcato visita con un diplomatico mal di schiena. La Bindi ha preferito rilasciare interviste in altra sede. Il disperato problema della minoranza dem, come si deduce anche dai loro interventi all’assemblea romana, è che si trova politicamente nell’angolo. Col dubbio che Renzi li abbia già rottamati, magari senza darlo troppo a vedere. Il segretario infatti dentro il Pd continua a procedere come una schiacciasassi, anche se i sondaggi lo danno in discesa rispetto al “cappotto” delle elezioni europee. Parla di confronto, di collaborazione, ma poi procede imperterrito per la sua strada: Jobs Act, riforme costituzionali, politica industriale, Legge di Stabilità. Altro che consigli. Nemmeno un suggerimento, un segnale, un contributo, un avviso, un accorgersi distratto che, ah sì, è vero, ci sono anche loro, la minoranza dem.

E allora che fare? Una scissione a sinistra avrebbe forse senso se i dem ribelli finissero iglobati in Sel, ma sarebbe inaccettabile. Un gruppo parlamentare con conseguente partito autonomo rischia di sortire, alle prossime elezioni, una percentuale da prefisso telefonico. Non serve nemmeno accampare diritti di veto e rendite di posizione, perché Renzi grazie all’alleanza con i centristi di Alfano e il Patto del Nazareno dispone di una maggioranza alternativa. E dunque? Dunque non resta che distinguere, sottilizzare, puntualizzare, farsi notare o non notare per farsi notare, restando però fermi, in attesa di tempi migliori (se mai verranno), perchè di questi tempi, l’opportunità politica, il “kairòs” come lo ha definito Renzi ieri, appartiene al segretario del Pd. La riscossa della minoranza non passa nemmeno per il Quirinale. Molti di loro appartengono ai famosi “101” che tradirono Bersani rifiutandosi di votare Prodi. Ma il prossimo presidente della Repubblica, come ha ricordato Berlusconi, lo scelgono i protagonisti del Patto del Nazareno (e dunque il candidato più accreditato finora sembra essere Grasso, non certo Prodi, inviso al Cavaliere). E poi, dopo aver deciso il nuovo inquilino del Colle, dopo l’approvazione dell’Italicum, dritti come un Frecciarossa verso nuove elezioni. Che Civati, D’Alema & C. lo vogliano o no. Questa è l'agenda del segretario-premier Matteo Renzi.

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