Ci sarà un accordo ragionevole, come auspica un po’ minaccioso D’Alema in un'intervista al Corriere della sera? O il segretario tirerà dritto per la sua strada? Sembra essere quest’ultimo l'esito della direzione del Pd convocato per oggi pomeriggio. L’epilogo infatti è già scritto perché i renziani, dei duecento seggi del parlamentino Pd, posseggono quasi il 70 per cento, per non contare i “giovani turchi” di Orfini, autoproclamatisi "pontieri" tra Renzi e la vecchia guardia, ma dotati di ponti molto mobili, pronti cioè ad agganciarsi al carro, anzi al "cargo" renziano come hanno fatto finora. Il tema della riunione è l’articolo 18. Renzi vuole abolirlo, rinunciando al reintegro anche per i licenziamenti discriminatori. Il premier ragazzo non vuole compromessi. Cercherà di convincere la minoranza Pd che l’abolizione dell’articolo dello Statuto dei lavoratori rientra in una riforma più ampia che cancella il precariato. Il premier sembra voler tirare dritto per la sua strada. Ha contro, oltre a tutta la vecchia guardia, tutti e tre i sindacati uniti, compresa quella Fiom cui aveva strizzato l'occhio, imprenditori importanti come Della Valle, che lo aveva sponsorizzato non poco e eprsino giornali importanti come il "Corriere della sera".
Anche i vescovi lo sferzano, poiché non vedono risultati di fronte a una crisi del lavoro che continua a immiserire sempre più famiglie e auspicano qualsiasi soluzione “pur di aumentare posti di lavoro”, come ha detto recentemente il presidente della Cei Bagnasco. In compenso Renzi ha dalla sua Marchionne, ovvero il presidente di una multinazionale che ha preso le distanze persino da Confindustria, e Silvio Berlusconi, il leader del Centrodestra, che promette appoggio in Parlamento. Non proprio due di sinistra. Ancora una volta Renzi va oltre le logiche di schieramento. Forse un po' troppo, in questo caso. Gli darà credito la fronda pidina? O si porranno le basi per un divorzio? La storia della sinistra in fondo è costellata di scissioni avvenute per molto meno