Sono arrivate le dimissioni in blocco dei vescovi cileni. Al termine di quattro giorni di intensi colloqui con il Papa per affrontare lo scandalo pedofilia, l’episcopato ha deciso di rimettersi alle decisioni di Francesco. Lo stesso Bergoglio, il 17 sera, al termine dei quattro giorni di intensi colloqui sul problema degli abusi, aveva consegnato una lettera a ciascuno di loro insieme con un documento riservato in cui si diceva che il problema non era rimuovere qualcuno dal proprio incarico, ma «il problema è il sistema».
Già nel suo viaggio in Cile dello scorso gennaio Francesco si era scontrato con le pesanti polemiche che riguardavano in particolare il vescovo di Osorno, Juan Barros, accusato di non aver preso le distanze dal suo potente mentore, padre Fernando Karadima, riconosciuto colpevole di abusi su minori. E già in Cile Bergoglio aveva invitato a chiamare le cose con il proprio nome e a non nascondere il «dolore e la vergogna che sento davanti al danno irreparabile causato a bambini da parte di ministri della Chiesa».
Prima di incontrare i vescovi cileni papa Francesco, a Santa Marta, aveva ascoltato una per una le vittime degli abusi chiedendo loro perdono e assicurando che avrebbe fatto tutto il possibile per riparare, per quanto possibile i danni, e per fare in modo che il dramma non si ripetesse.
Nella lettera pubblica diramata ieri sera il Papa ha sottolineato che «alla luce dei fatti dolorosi riguardanti gli abusi di minori abbiamo approfondito la gravità di questi fatti e le tragiche conseguenze che hanno avuto in particolare per le vittime. Ad alcune di queste io stesso ho chiesto perdono di cuore, perdono al quale vi siete uniti anche voi in un’unica volontà e con il fermo proposito di riparare i danni causati».Il Papa auspicava anche un momento di discernimento per cercare di capire quali fossero le migliori soluzioni «nel breve, medio e lungo termine, necessarie per stabilire la giustizia e la comunione ecclesiale». Infine Francesco chiedeva a ogni vescovo di mettere al centro del proprio ministero «ciò che è importante: il servizio al suo Signore nell’affamato, nel prigioniero, nel migrante, nell’abusato».
Nell’altro documento riservato, reso noto dalla televisione cilena TV13, il Papa criticava il modo in cui sono state condotte le indagini, il fatto che alcuni religiosi espulsi dai propri ordini siano stati accolti in altre diocesi, e soprattutto l’evidenza che la Chiesa cilena «ha perduto il suo centro e si è concentrata su se stessa», con una «perversione ecclesiale» che non ha dato alle vittime la giusta attenzione.
Nel dimettersi, i vescovi cileni hanno ringraziato la stampa per aver incalzato la Chiesa su questo tema. Soprattutto hanno ringraziato «le vittime per la loro perseveranza e il loro coraggio nonostante le enormi difficoltà personali, spirituali, sociali, e familiari che hanno affrontato insieme, spesso, con le incomprensioni e gli attacchi che hannon subito dalla stessa comunità ecclesiale».
Nel testo letto alla stampa da monsignor Fernando Ramos Pérez, uno dei sette ausiliari di Santiago, e da monsignor Juan Ignacio Gonzales Errazuriz, vescovo di San Bernardo, i vescovi hanno chiarito che «per iscritto abbiamo rimesso i nostri incarichi nelle mani del Santo Padre perché decida liberamente per ciascuno di noi. Ci poniamo in cammino sapendo che questi giorni di dialogo onesto hanno rappresentato una pietra miliare di un profondo processo di cambiamento guidato da papa Francesco. In comunione con lui vogliamo ristabilire la giustizia, riparare al danno causato per dare nuovo impulso alla missione profetica della Chiesa in Cile. Missione il cui centro avrebbe sempre dovuto essere Gesù Cristo».