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domenica 13 ottobre 2024
 
 

Integrare non significa eliminare ciò che non appartiene alla nostra cultura

21/04/2016  Il medico e psicoterapeuta che collabora con Famiglia Cristiana risponde a una mamma preoccupata per la presenza in classe di bambini di etnie e religioni diverse, e per lo spazio eccessivo che concede loro la maestra.

Nella classe di mia figlia ci sono bambini di etnie e religioni diverse. La maestra a volte chiede ai bambini di recitare una preghiera della loro religione di fronte a tutti gli altri. Lo fa in un’ottica di integrazione e rispetto delle differenti culture. A Natale i bambini hanno vissuto insieme la preparazione della festa cristiana, mentre durante il Ramadan i bambini musulmani hanno raccontato cosa stava succedendo nelle loro famiglie e un genitore del Marocco ne ha parlato in classe. Io non credo all’utilità di questi interventi e penso che nelle nostre scuole si debba proporre un solo messaggio soprattutto in relazione a fede e religione. Altrimenti i bambini restano confusi.

Maristella.

Gentile Maristella, per me, ciò che la maestra di tua figlia stia facendo è un ottimo esempio di integrazione. Integrare non significa eliminare ciò che non appartiene alla nostra cultura, tenerlo nascosto, deprivarlo dei suoi valori e significati, bensì l’esatto contrario: ovvero, permettergli di convivere con il meglio di tutti gli altri. Penso che la vostra maestra stia insegnando che la religione e la spiritualità sono aspetti fondanti della nostra vita. In relazione alla religione, il rispetto prevede ascolto e conoscenza dell’altro, che ne è degno non perché è simile a me, ma per l’esatto contrario. Questo messaggio compare anche in un documentario che ho appena visto in DVD: “Sarà un paese” di Nicola Campiotti, in cui il trentenne Nicola, deluso dalla mancanza di opportunità di lavoro, si mette in viaggio con il fratello Elia, di dieci anni, alla ricerca di un Paese in cui continuare a sperare. E’ un viaggio di incontro, di confronto, di scoperta del meglio e del peggio che c’è in Italia. In un magnifico passaggio del film, Elia partendo dalla domanda “Quanti dei ci sono in tutto il cielo?” incontra bambini di religioni differenti: un politeista, un’ebrea, dei musulmani. Si parlano e si ascoltano. Si fanno domande, si osservano, condividono parole e riti differenti. La conclusione mi ha colpito e commosso, perché non è fatta di risposte certe, bensì di domande, una delle quali è: “Perché litigare se noi chiamiamo lo stesso Dio con nome diverso?”. Una domanda colma di significati, che deve portare noi educatori a tutelare il diritto dei bambini di crescere in un mondo dove gli adulti li aiutano ad avere uno sguardo alto, a coltivare la propria spiritualità, a fondare le proprie azioni su un sistema di valori che non chiude tutto nel qui ed ora, nel limite dell’umano e del terreno, dando valore solo a ciò che è materiale e che ha un prezzo. Questo secondo me sta facendo la maestra di tua figlia. La scuola non è un luogo di missione, ma di convivenza rispettosa e pacifica, un luogo di co-educazione. E se c’è davanti a loro ci sono adulti che sanno educare, i bambini non rimarranno confusi come tu temi.

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