«Abbracciate mia madre e ditele che le voglio bene. Portami a casa Gesù, portami a casa Dio», sono state le ultime parole di Marvin Wilson, afroamericano di 54 anni, segnato da un “ritardo mentale”. La condanna a morte è stata eseguita in Texas martedì 7 agosto. Morte di Stato per iniezione letale. Marvin, che si è sempre proclamato innocente, è stato giudicato colpevole per l’omicidio di un informatore di polizia nel 1992. La sentenza venne emessa nel 1994, annullata nel 1997 e ripristinata nel 1998. Anche se il condannato aveva il quoziente intellettivo di un bambino e non sapeva allacciarsi le scarpe.
Marvin ha una storia simile a quella di Yokamon Hearn, eseguito il 18 luglio, anche lui in Texas, per un reato compiuto quando aveva 19 anni. Come molti detenuti capitali, Yokamon proveniva da un'infanzia povera e difficile, con un padre assente ed una madre che faceva uso abituale di droghe. Anche Yokamon aveva un ritardo mentale, ma la grazia che aveva chiesto è stata respinta solo tre ore prima dell'esecuzione.
Sempre in Texas, che esegue il 30% delle condanne a morte americane, è recluso John Lezell Balentine, afroamericano di 40 anni. È un dead man walking,
un “uomo morto che cammina”, come negli Usa chiamano il condannato che
percorre il corridoio per entrare nella camera della morte. La data dell’esecuzione è fissata per il 22 agosto.
«Malgrado un’unica testimonianza contro di lui piena di contraddizioni,
facilmente confutabile se l’imputato avesse i mezzi finanziari per
assoldare un buon avvocato e poter così riaprire il processo nei propri
confronti», si legge nell’appello lanciato della Comunità di
Sant’Egidio per chiedere al Governatore del Texas la sospensione
dell’esecuzione.
Potrebbero essere contati anche i giorni di Rizana Nafeek, giovane dello
Sri Lanka, emigrata a 17 anni in Arabia Saudita, dove cominciò a fare
la baby-sitter nella città di Dawadami, finché, dopo poco tempo, il
neonato che accudiva morì mentre lei gli stava dando da bere del latte.
Rizana fu accusata di averlo ucciso e arrestata, senza che potesse
avvalersi di un avvocato difensore. Fu quindi condannata a morte due
anni dopo, nel 2007, con un processo dalla dubbia regolarità, senza
alcuna prova seria, fondato su una confessione firmata ignorandone il
contenuto, giacché scritta in una lingua che non comprendeva.
Di altre morti per omicidio di Stato forse non avremo neppure notizia.
In alcuni Paesi, come Cina e Vietnam, la questione è considerata un
segreto di Stato e le esecuzioni riportate da fonti indipendenti
rappresentano una minima parte del fenomeno. Anche in Bielorussia vige
il segreto di Stato, retaggio della tradizione sovietica, e le notizie
filtrano dalle prigioni tramite i parenti dei giustiziati o le
organizzazioni internazionali molto tempo dopo la data dell’esecuzione.
La Bielorussia, con quattro condanne eseguite nell’ultimo anno e mezzo,
continua a essere l’unica eccezione in Europa, che altrimenti sarebbe un
continente totalmente libero dalla pena di morte.
Anche quest’anno, è ancora l’Asia che si aggiudica il primato della
quasi totalità della pena di morte nel mondo, con il 98,6% delle
esecuzioni del 2011, e i primi tre “Paesi-boia”, la Cina (oltre 4000),
l’Iran (almeno 676, in forte crescita) e l’Arabia Saudita (almeno 82). Nel
Paese del Dragone, si muore per lo più con un colpo di fucile sparato a
distanza ravvicinata, al cuore o alla nuca, con il condannato in
ginocchio, le caviglie ammanettate e le mani legate dietro la schiena.
Proprio dalla Cina, però, arriva una buona notizia: qui, nel 2011, i
condannati a morte sono scesi dai 5.000 circa dell’anno precedente a
4.000. E questo spiega la riduzione a livello mondiale. Cinquemila:
tante sono state le esecuzioni capitali lo scorso anno, a fronte delle 5.946 del 2010. È quanto emerge dal Rapporto 2012 di Nessuno tocchi Caino, presentato il 3 agosto a Roma. I
Paesi che hanno deciso di cancellarla per legge o nella pratica sono
oggi 155, di cui 99 totalmente abolizionisti, mentre erano solo 16
appena 35 anni fa. Gli Stati mantenitori della pena di morte nel
2011 sono saliti a 43 rispetto ai 42 del 2010 solo perché il Sudan del
Sud ha guadagnato l’indipendenza dal Sudan nel luglio del 2011 e ha
mantenuto la pena di morte. Tuttavia, i Paesi che hanno fatto realmente
ricorso alle esecuzioni capitali sono stati solo 19, rispetto ai 22 del
2010, ai 19 del 2009 e ai 26 del 2008.
Dati alla mano, sembra quindi che ci si trovi di fronte ad “una tendenza
irreversibile verso l'abolizione della pena di morte nel mondo”. Il ministro degli Esteri Giulio Terzi, intervenendo
alla presentazione del Rapporto, ha detto che «è necessario, ora più
che mai, ribadire l'assurdità di uccidere le persone che hanno ucciso
altre persone per dimostrare che le persone non si devono uccidere».
Infatti, come ha scritto Mario Marazziti della Comunità di Sant’Egidio
nel libro Non c’è giustizia senza vita, «la pena capitale abbassa
la società intera al livello di chi uccide. Anche di fronte a chi ha
compiuto crimini orrendi, abbiamo il dovere di essere migliori, proprio
per dire che è sbagliato, sempre, uccidere».
Per firmare gli appelli della Comunità di Sant’Egidio:
- Rizana Nafeek, 24 anni, Arabia Saudita
http://www.santegidio.org/it/pdm/news/ap_rizana.htm
- John Lezell Balentine, 40 anni, Texas (Usa)
http://www.santegidio.org/it/pdm/news/ap_balentine.htm