Non si può cercare la diversità senza l’unità, né l’unità senza la diversità. Papa Francesco ricorda che lo Spirito Santo, nel giorno di Pentecoste, scese su ciascuno e poi mise tutti in comunicazione. Ciò significa che a ciascuno è stato dato un dono, che lo Spirito ha creato «la diversità e l’unità» plasmando in questo modo «un popolo nuovo, variegato e unito: la Chiesa universale». Per questo non si può essere cristiani di destra o di sinistra «prima che di gesù», tifosi di una parte o dell’altra «anziché fratelli». Bergoglio sembra parlare soprattutto alle voci critiche che lo osteggiano fin dall’inizio del suo Pontificato. Per ricordare loro che lo Spirito ci chiama alla «unità nella differenza». Senza cadere nella tentazione di cercare soltanto la diversità. È la tentazione di «quando ci si vuole distinguere, quando si formano schieramenti e partiti, quando ci si irrigidisce su posizioni escludenti, quando ci si chiude nei propri particolarismi, magari ritenendosi i migliori o quelli che hanno sempre ragione. Sono i cosiddetti “custodi della verità”».
Ed è allora, continua il Papa che «si sceglie la parte, non il tutto, l’appartenere a questo o a quello prima che alla Chiesa; si diventa “tifosi” di parte anziché fratelli e sorelle nello stesso Spirito; cristiani “di destra o di sinistra” prima che di Gesù; custodi inflessibili del passato o avanguardisti del futuro prima che figli umili e grati della Chiesa». Ma c’è anche la tentazione opposta, «quella di cercare l’unità senza la diversità. In questo modo, però, l’unità diventa uniformità, obbligo di fare tutto insieme e tutto uguale, di pensare tutti sempre allo stesso modo. Così l’unità finisce per essere omologazione e non c’è più libertà».
Papa Francesco invoca la grazia di «accogliere la sua unità, uno sguardo che abbraccia e ama, al di là delle preferenze personali, la sua Chiesa, la nostra Chiesa; di farci carico dell’unità tra tutti, di azzerare le chiacchiere che seminano zizzania e le invidie che avvelenano, perché essere uomini e donne di Chiesa significa essere uomini e donne di comunione; è chiedere anche un cuore che senta la Chiesa nostra madre e nostra casa: la casa accogliente e aperta, dove si condivide la gioia pluriforme dello Spirito Santo».
Ma la seconda novità, che ci viene nel giorno di Pentecoste è, oltre a essere un popolo nuovo, quella di avere «un cuore nuovo». E il cuore nuovo si riconosce dalla capacità di perdono. Gesù stesso, apparendo ai suoi la prima volta, dice infatti, come ricorda Francesco: «”Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati”. Gesù non condanna i suoi, che lo avevano abbandonato e rinnegato durante la Passione, ma dona loro lo Spirito del perdono. Lo Spirito è il primo dono del Risorto e viene dato anzitutto per perdonare i peccati. Ecco l’inizio della Chiesa, ecco il collante che ci tiene insieme, il cemento che unisce i mattoni della casa: il perdono. Perché il perdono è il dono all’ennesima potenza, è l’amore più grande, quello che tiene uniti nonostante tutto, che impedisce di crollare, che rinforza e rinsalda. Il perdono libera il cuore e permette di ricominciare: il perdono dà speranza, senza perdono non si edifica la Chiesa».
E al termine della messa, nel Regina Coeli, il Papa ha volluto pregare per le vittime del terrorismo: «Lo Spirito», ha detto, «doni pace al mondo intero; guarisca le piaghe della guerra e del terrorismo, che anche questa notte, a Londra, ha colpito civili innocenti: preghiamo per le vittime e i familiari».