A 75 anni Peppino Di Capri
conserva l’aria dell’eterno
ragazzo che, davanti alla
tastiera del pianoforte,
può regalarci una canzone
romantica o anche
improvvisare un indiavolato
twist. Ha cominciato
la sua carriera 57 anni fa e non si è
ancora stancato di fare musica. L’Acchiappasogni
è il titolo del suo nuovo
album appena uscito.
- Peppino, perché questo titolo?
«Mi sono ispirato al dreamcatcher,
“l’acchiappasogni” appunto, vale a dire
quell’oggetto che gli indiani d’America
appendono fuori dalle loro tende
quando nasce un bambino, allo scopo
di bloccare i brutti sogni e far filtrare
solo quelli buoni per il neonato. In
questo disco volevo far passare le canzoni
buone, quelle giuste, insomma i
classici “peppiniani”».
- Ci spiega quali sono le canzoni
giuste secondo lei?
«Quella adatte a me, che non mi
buttano fuori dal mio stile e dal mio genere. Non devo mai cadere in questa
tentazione, con il rischio di fare esperimenti
azzardati».
- Quali sono i segreti del suo intramontabile
successo?
«Direi che prima di tutto c’è una
professionalità controllata. Cerco di
non montarmi la testa e di essere gentile
con il pubblico. Ho molta pazienza
nel farmi fotografare con le persone
che mi cercano e nel firmare autografi,
credo che questo mio atteggiamento
traspiri anche nel mio linguaggio musicale.
Purtroppo ho il grosso difetto di
esser timido e spesso questa timidezza
può sembrare una forma di superbia.
Poi aggiungerei la timbrica vocale, che
è rimasta abbastanza fedele a quella dei miei 18 anni. Questo è un miracolo
della natura di cui devo ringraziare
papà e mamma».
- Lei viene da una famiglia, da parte
paterna, di musicisti. Ma è vero che da
ragazzo lei venne cacciato dalla sua
insegnante di pianoforte?
«Sì. Mi cacciò letteralmente dal suo
studio quando scoprì che la sera andavo
a suonare nei locali di Capri. Lei si
era insospettita perché vedeva che a
ogni lezione il mio polso non era fluido
e leggero come lei voleva. Poi una
notte suo marito mi incontrò in un
stradina di Capri e mi chiese che cosa
stessi facendo. Risposi che aspettavo
mio padre, invece tornavo da un night
dove suonavo. Sia chiaro, la musica
classica mi piaceva, la apprezzavo, ma
dentro di me covavo altro. Insomma,
io già a 4 anni suonavo le canzoncine
americane per il generale Clark, il comandante
della Quinta Armata americana
».
Peppino Di Capri con Franco Califano (foto Ansa)
Che cosa erano per lei gli Stati
Uniti d’America a quei tempi?
«Mi hanno lasciato dentro una traccia profonda. Registravo dalle stazioni
radio straniere tutte le novità discografiche.
Ero sempre con le antenne
ben dritte per capire che cosa girava
di nuovo attorno alla musica».
- Tra i fenomeni di quegli anni ci
furono i Beatles, che lei accompagnò
nel loro tour italiano nel giugno del
1965. Come ricorda quell’esperienza?
«Sì, io facevo da supporter nella
prima parte dei loro concerti. Ricordo
soprattutto un bell’impatto di sonorità,
ma loro erano inavvicinabili. Siamo
riusciti a farci una foto insieme soltanto
all’ultimo giorno del tour».
- Lei, fin dal suo nome d’arte, evoca
Napoli, però non si è mai identificato
strettamente con la tradizione napoletana.
Si può dire che Peppino Di
Capri ha fatto indossare il rock alla
canzone napoletana?
«Sì, mi piace questa definizione.
Direi che traspira sempre un pizzico
di napoletanità in tutte le canzoni che
faccio e sento in me sia la vena americana
sia quella napoletanizzante.
Fin da ragazzo ho cercato una fusione
perfetta fra questi due mondi. Quando
mia madre cantava le canzoni napoletane,
io le arrangiavo in chiave più
moderna per i miei coetanei. Poi loro
pensavano che fossero canzoni mie».
- Quante volte ha cantato la famosa
Champagne?
«Da quando è uscita, credo d’averla
cantata tutti i giorni in cui ho lavorato.
Insieme a Roberta è la mia canzone
più popolare, anche all’estero. Arrivò
solo al quinto posto su nove canzoni
a Canzonissima, ma il pubblico la amò
subito e dopo sei mesi stava ancora fra
le prime della Hit parade».
- È ancora popolare all’estero?
«In Brasile mi adorano. Ho fatto un
tour in varie città lo scorso novembre
e ho sempre avuto standing ovation.
Dicono che quando canto io capiscono
tutte le parole. Meno male».
- Che cosa pensa dei talent show?
«Mi sembrano un modo come un
altro per farsi conoscere. Tra i giovani
emersi da questi show mi piace moltissimo
Lorenzo Fragola, il vincitore
di X Factor. Una voce nuova e originale,
che non copia dagli altri, con una bella
timbrica. Davvero fantastica».
- Oggi cantano un po’ tutti allo
stesso modo?
«Forse non lo fanno apposta, però
finiscono per assomigliarsi un po’ tutti.
Magari la tua voce è molto più bella
ma ti piace uno e canti alla sua maniera,
fai di tutto per avvicinarti al suo
modello e così perdi in originalità».
- Lei ha partecipato a 15 festival di
Sanremo, vincendone due. Tornerebbe
sul palco dell’Ariston?
«Certo, mi piacerebbe, però non da
concorrente. Ci andrei volentieri per
ritirare un premio alla carriera. Dopo
57 anni di onorata attività, sento proprio
di meritarmelo»