Gestione repressiva del fenomeno migratorio», «erosione dei diritti umani dei richiedenti asilo», «retorica xenofoba nella politica», «sgomberi forzati senza alternative». Non è un quadro positivo dell'Italia, quello delineato dal rapporto «La situazione dei diritti umani nel mondo. Il 2018 e le prospettive per il 2019», pubblicato da Amnesty International in occasione del 70esimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani. Il governo Conte, scrive la ong, «si è subito distinto per una gestione repressiva del fenomeno migratorio», in cui «le autorità hanno ostacolato e continuano a ostacolare lo sbarco in Italia di centinaia di persone salvate in mare, infliggendo loro ulteriori sofferenze e minando il funzionamento complessivo del sistema di ricerca e salvataggio marittimo». Parlando del Dl sicurezza, Amnesty afferma che contiene misure che «erodono gravemente i diritti umani di richiedenti asilo e migranti e avranno l'effetto di fare aumentare il numero di persone in stato di irregolarità presenti in Italia».
Il decreto sicurezza «erode i diritti dei delinquenti» e non dei richiedenti asilo, come afferma l'ultimo rapporto di Amnesty International. Così il ministro dell'Interno e vicepremier Matteo Salvini ha risposto a una domanda sull'ultimo rapporto di Amnesty International, per il quale il decreto sicurezza erode i diritti dei richiedenti asilo. «L'Italia - ha spiegato Salvini a margine di un incontro con gli imprenditori nella sede di Assolombarda - ha le porte spalancate e i porti aperti per quei pochi che scappano davvero dalla guerra, quelli che la guerra ce la portano in casa tornano da dove sono arrivati».
In Europa, il 2018 è stato caratterizzato «dall'aumento dell'intolleranza, dell'odio e della discriminazione, in un contesto di progressivo restringimento degli spazi di libertà per la società civile« e in cui «richiedenti asilo, rifugiati e migranti sono stati respinti o abbandonati nello squallore mentre gli atti di solidarietà sono stati criminalizzati». A guidare questa tendenza sono stati «Ungheria, Polonia e Russia mentre nel più ampio contesto regionale in stati come Bielorussia, Azerbaigian e Tagikistan vi sono stati nuovi giri di vite nei confronti della libertà d'espressione e in Turchia ha proseguito a espandersi un clima di paura». Tuttavia, Amnesty sottolinea che in Europa «l'ottimismo è rimasto invariato e sono cresciuti attivismo e proteste: un coro di persone ordinarie dotate di una passione straordinaria chiede giustizia e uguaglianza».
Profughi Rohingya in Myanmar
Il documento riporta che in Africa, nonostante alcuni progressi, molti governi dell'area subsahariana hanno fatto ricorso a tattiche repressive per ridurre al silenzio difensori dei diritti umani, giornalisti, manifestanti e altre voci dissidenti. Tuttavia, nel continente non sono mancati segnali di speranza, anche a seguito di cambi di leadership, come in Angola ed Etiopia. Per quanto riguarda le Americhe, l'ong riporta che un ambiente repressivo nei confronti dei diritti umani ha determinato uccisioni di ambientalisti e leader sociali a livelli allarmanti, come nel caso della Colombia, e l'ascesa di leader che hanno fatto «sfoggio di una retorica estremamente ostile ai diritti umani», come il neo presidente brasiliano Jair Bolsonaro. Le crisi dei diritti umani in Venezuela e in America centrale hanno costretto un numero senza precedenti di persone a lasciare i loro paesi, e se alcuni stati le hanno accolte, gli Usa hanno reagito separando e imprigionando nuclei familiari e restringendo il diritto d'asilo. Secondo Amnesty, in Asia orientale vi sono stati passi avanti sui diritti delle persone Lgbti ma gli spazi di libertà per la società civile si sono ristretti. Uno dei peggiori sviluppi è stata la detenzione di massa, da parte delle autorità della Cina, di un milione di uiguri, kazachi e altre minoranze prevalentemente musulmane. Colloqui senza precedenti hanno avuto luogo tra le due Coree, con possibili importanti effetti per i diritti umani nella penisola coreana. In Medio Oriente e Nordafrica, in un contesto regionale segnato da perduranti conflitti (Yemen, Siria, Libia), l'attivismo delle donne ha segnato alcuni dei momenti più importanti dell'anno: dalla vittoriosa fine del divieto di guida per le donne in Arabia Saudita alla resistenza contro l'obbligo d'indossare il velo in Iran. L'esercito israeliano «ha causato un elevato numero di vittime civili palestinesi come non si vedeva da anni». Gli spazi per l'espressione pacifica delle opinioni si sono ristretti in Arabia Saudita, Bahrein, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Iran. Amnesty riporta che i governi dell'Asia meridionale hanno continuato a minacciare, intimidire e processare difensori dei diritti umani. In Bangladesh e Pakistan le autorità hanno fatto ricorso a leggi drastiche per colpire la libertà d'espressione. In India, il governo ha cercato di demonizzare e perseguitare i gruppi della società civile. Ma ci sono stati anche segnali di speranza: a maggio il parlamento del Pakistan ha approvato una delle leggi più progressiste al mondo sui diritti delle persone transgender. Infine, in Asia sudorientale, la violenta campagna di uccisioni, stupri e incendi delle forze armate di Myanmar ha costretto oltre 720.000 rohingya a lasciare lo stato di Rakhine e a trovare riparo in Bangladesh. È aumentata l'intolleranza nei confronti del dissenso pacifico e dell'attivismo, così come in Cambogia verso le opposizioni politiche e gli organi d'informazione indipendenti. Nelle Filippine, altre vite umane sono state perse nell'ambito della «guerra alla droga» del governo del presidente Duterte.