«Ad essere minacciata non sono io. Credo che, ad essere minacciata, sia la democrazia». Cécile Kyenge arriva alla conferenza stampa convocata dalla Cei per la Giornata dei Migranti. Ringrazia per «l'impegno della Chiesa nel promuovere la cultura dell'accoglienza e dell'incontro» e aggiunge che «occorre una politica che sia insieme di integrazione e di interazione, considerando gli immigrati soggetti attivi e partecipativi della vita del Paese. E inoltre bisogna fare tutto il possibile per rimuovere, come dice la nostra Costituzione, gli ostacoli alla piena eguaglianza tra cittadini».
Nel centenario della istituzione della Giornata, che si celebrerà il 19 gennaio, monsignor Giancarlo Perego, direttore di Migrantes, snocciola i dati: «Cent'anni fa, dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, papa Benedetto XV indirizzava una lettera a tutti i vescovi italiani nella quale li invitava a celebrare in diocesi una Giornata per i migranti e i rifugiati perché la guerra aveva creato molti profughi. Cent'anni dopo non una, ma 23 guerre in atto, creano milioni di nuovi rifugiati e profughi. Oltre 42 mila sono arrivati sulle nostre coste soltanto nel 2013, 10 mila nella sola Lampedusa».
Monsignor Perego denuncia i continui tagli alla cooperazione (dai 139 milioni del 2013 ai 125 del 2014) e il crescente sfruttamento dei lavoratori immigrati che sono nel nostro Paese. Lavoratori sottopagati e sottoinquadrati (la percentuale in Italia è del 61 per cento contro il 17 del resto d'Europa), con oltre 100 mila incidenti sul lavoro l'anno. A questi, secondo l'Inail va aggiunta anche una fetta dei restanti 164 mila "incidenti invisibili", cioè che riguardano sia italiani che stranieri impiegati in nero. Non solo, monsignor Perego parla anche di una vigilanza in materia che si è notevolmente abbassata, se solo si considera che in Basilicata e Calabria, nel 2010 quando si sono verificati i casi di Rosarno, non era stata fatta alcuna segnalazione di sfruttamento lavorativo.
«C'è una cultura da cambiare», aggiunge monsignor Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente sia di Migrantes che della Commissione episcopale per le migrazioni, «una cultura che deve considerare tutti i cittadini uguali, compresi gli abitanti di Lampedusa e di un'altra isola che pochi citano: Linosa. Un solo cardiologo che visita di giovedì, quindi non ci si può distrarre e farsi venire l'infarto di venerdì», scherza il vescovo, «oppure un ambulatorio veterinario gestito d'estate dai volontari con un'apparecchiatura per i raggi x per le tartarughe. Se ci si rompe un braccio, solo d'estate naturalmente, da Linosa, dov'è l'ambulatorio, bisogna tentare di raggiungere Lampedusa. E, se bisogna operarsi, Palermo. Eppure questi abitanti, in situazioni così precarie, hanno aperto finestre e porte per accogliere i profughi. E quando dico loro che si sta pensando a un Nobel per i lampedusani mi rispondono: "Per noi il miglior premio è non vedere più morire in mare queste persone"».