In una recente intervista sul Corriere della sera, con stile provocatorio e sincero, Umberto Galimberti propone di separare i figli da padri e madri iperprotettivi mandandoli a fare il servizio civile a 1000 chilometri da casa. È un accenno all’interno di una lunga intervista a 360 gradi in cui passa dai suoi maestri alla politica e alla religione di oggi, dal predominio della tecnica nel mondo attuale alla decadenza del mondo occidentale. La sua proposta, che in chiave aggiornata rievoca il servizio militare rivolto a tutti i maschi di qualche decennio fa, sottolinea la necessità di un rito di passaggio che favorisca la separazione tra le generazioni, imposto per legge perché le persone non sono in grado di farlo da sole.
Effettivamente oggi non solo i ragazzi stazionano in famiglia ben oltre l’accesso all’età adulta, ma le generazioni stesse sembrano poco differenziate tra loro: nei consumi come nei costumi e negli atteggiamenti di fronte alla vita. Tornare a separare, allontanando fisicamente, appare utile per consentire ai giovani di affrontare con le proprie forze il futuro. Lontano da casa, bisogna sviluppare la propria autonomia pratica, la capacità di gestire le situazioni frustranti, di spendere oculatamente. A patto che ci sia una distanza non solo fisica ma anche mentale da mamma e papà. Rinunciando a contatti continui, che oggi sono invece facilitati da smartphone e social. Imparando a coltivare le proprie idee, ad assumere le proprie responsabilità senza l’ombrello protettivo di genitori pronti a facilitare i ragazzi in tutti i modi: accompagnandoli ovunque, fornendo servizi in casa per la vita di tutti i giorni (lavando, stirando, cucinando), elargendo denaro per qualsiasi necessità. Per fare questo, bisogna anche che i genitori accettino questa dimensione separata dai figli, evitando di rendersi presenti nella loro quotidianità. Per certi aspetti, queste separazioni oggi avvengono più di qualche anno fa. È il caso degli studenti fuori sede, o di chi cerca lavoro e formazione all’estero.
Ma forse la proposta di Galimberti va letta in una chiave più sottile. Oltre che evocare i riti di iniziazione, in due passaggi dell’intervista, il filosofo evidenzia da un lato l’importanza di conoscere se stessi, dall’altro la ricerca di senso dell’esistenza che è (anche) scoperta del proprio limite. Sta forse in questo il significato più profondo della proposta: la considerazione che non si può crescere senza fermarsi a pensare a se stessi, e senza imparare a gestire da soli i propri limiti. Come? Allargando il più possibile le esperienze e mettendosi alla prova: nello studio e nel lavoro, ma anche nel tempo libero, nello sport, nelle relazioni di amicizia e di amore. Considerando tutte queste attività come impegni responsabili e non occupazioni o ‘passatempi’. Solo così un ragazzo può capire davvero quello che vale, con le sue risorse e i suoi limiti.