Qualche giorno fa nostra figlia di 23 anni ci ha fatto un discorso che ci ha molto turbato. Ci ha detto che non pensa di mettere al mondo un bambino perché non sa se potrà mantenerlo, vista la difficoltà di trovare un lavoro stabile, e perché non sa in che mondo potrà vivere, visti gli enormi cambiamenti climatici che stanno sconvolgendo la nostra Terra. Ci è sembrato un atteggiamento privo di speranza, che abbiamo provato a contrastare con la nostra fede e con la nostra visione della vita.
RITA
– Cara Rita, sentendo molti ventenni che hanno pensieri simili, mi chiedo se la nostra generazione di adulti, diciamo dai 50 anni in su, non abbia vissuto un periodo particolarmente fortunato, animato dall’idea che fosse possibile migliorare il mondo con l’impegno e il lavoro di ciascuno. Gli eventi storici che, almeno per noi in Europa, hanno caratterizzato la seconda metà del secolo scorso, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, hanno nutrito un atteggiamento fiducioso verso il futuro, che oggi non ritrovo nei nati tra la fine del Novecento e i primi anni di questo secolo.
Allo sbarco sulla Luna, alla caduta del muro di Berlino, i ragazzi contrappongono il crollo delle Torri gemelle, la pandemia, la guerra. La crisi climatica e i nuovi equilibri mondiali sembrano prefigurare scenari apocalittici che nei più sensibili provocano riflessioni analoghe a quelle di tua figlia. Per questo, diventa importante che noi adulti ci mettiamo in ascolto delle loro angosce e proviamo a proporre letture della realtà più equilibrate e meno estreme. Ci sono elementi di preoccupazione, è vero, ma anche tante risorse, soprattutto in loro giovani, che non vanno sottovalutate.
Assumiamoci il compito di “custodi della speranza” per loro. E quando parliamo del futuro, per favore, evitiamo toni eccessivamente drammatici, che magari rendono in termini di ascolti alla Tv, ma rischiano di intaccare la progettualità dei giovani.