È sempre un’emozione parlare con Olmi. Per la calda umanità che mette in tutto ciò che fa. Per la cultura profonda, mai spocchiosa. Ogni volta, con lui, pare di riprendere il filo di un discorso appena interrotto. Per la coerenza. Per la limpidezza di pensiero. O semplicemente perché Olmi è un artista onesto, che dice ciò che pensa e crede in ciò che dice.
Che si tratti di documentari o di film, filo conduttore del suo lavoro è l’etica della vita. Crede che il regista abbia un obbligo morale verso lo spettatore?
«Certo! Non sono per il cinema ideologico o demagogico... Ma il film, mostrando senza pregiudizi certe realtà, deve suggerire il bisogno di comprenderle, così che si diventi giudici di noi stessi».
In tante sue pellicole appare evidente una forte componente religiosa. Per l’educazione contadina bergamasca, ma anche per la natura profonda del suo animo. Qual è il suo rapporto con la fede? E quanto ha aiutato o complicato la sua attività di regista?
«Aver fede, per me, significa credere nel senso più profondo della vita. La fede in Dio è un intimo progetto che riguarda ciascuno di noi, va coltivato e praticato. Non basta, però, senza la fede negli altri uomini e in quel Creato che Dio ci ha dato. Voglio dire che il modo migliore che abbiamo per mostrare la nostra fede in Dio è quello di ricordarci che lui si è fatto uomo. Non dobbiamo essere servitori di un Dio da idolatrare: ecco il tema di Centochiodi, il mio ultimo film. Non può esserci un Dio in nome del quale si fomenta odio o, peggio, si massacrano persone. Quello è un Dio fasullo, pericoloso. È l’immagine biblica dell’avversario, del vero demonio».
Non pago della spiritualità manifestata in titoli quali E venne un uomo, Cammina cammina, La leggenda del Santo Bevitore, nel 1994 lei ha girato un film per la Tv proprio su un libro della Bibbia: Genesi-La creazione e il diluvio. Una scelta non facile. Perché?
«Quei primi nove capitoli contengono, per me, tutto il senso che si può dare al mistero della creazione. Rispondono alla domanda fondamentale: perché il Creato? Tutte le altre storie della Bibbia sono centrate in qualche modo sull’uomo che parla con Dio. Invece, nella Genesi il protagonista è Dio stesso, che si fa riconoscere nella realtà della creazione. E infine crea l’uomo, perché (non è una bestemmia) sia l’unico in grado di porsi, nel dialogo, al livello di Dio. Insomma, il resto della Bibbia è una sorta di coro. Uno straordinario mormorio, in cui spiccano anche voci altissime, poetiche, ma in cui è sempre l’uomo che agisce. Mentre nella Genesi è Dio che agisce, fino a riconoscersi nell’uomo».
La Bibbia, che è chiamata anche “il libro dei libri”, è così ricca di storie e di personaggi da esser stata fonte d’ispirazione non solo per pittori e letterati, ma anche per innumerevoli pellicole, specie nell’epoca d’oro di Hollywood. Lei pensa che possa esserlo ancora?
«Tutto ciò che la Bibbia racconta, dopo la Genesi, è la storia della sapienza dell’uomo, conquistata passo dopo passo. Fino ad arrivare a quella rivelazione, che ancora mi stupisce e mi smarrisce, che è la figura di Cristo. Ora questa figura, giustamente, è un capitolo della Bibbia. Ed è il capitolo della parola nuova che l’uomo, dopo tanto cammino, riesce finalmente a pronunciare in maniera inequivocabile. Questa parola è “perdono”. Il più alto atto d’amore che l’uomo possa compiere. Per l’artista in cerca d’ispirazione, nella Bibbia c’è tutto. Ci sono momenti, nella storia dell’uomo, in cui l’illuminazione della mente parte dal cuore. Parecchi di questi momenti sono racchiusi nella Bibbia. Ce ne sono, però, pure in altre opere. Parrà strano, ma perfino Pinocchio è un momento di verità, una splendida parabola sulla creazione. Ecco perché val sempre la pena di fare nuove edizioni dei testi fondamentali. Il problema è che, pur avendo a disposizione una ricca messe di parole, immagini, personaggi, l’uomo moderno fatica a recepirli in termini di esempio da praticare. Se c’è un grave peccato oggi praticato, è quello di omissione».
In che senso?
«L’uomo non deve preoccuparsi tanto di giudicare sé stesso attraverso le cose che ha fatto bene oppure male. Dovrà, soprattutto, rendere conto di ciò che non ha fatto. L’omissione è il peccato della rinuncia alla dignità umana».
Non si tratta, perciò, di inchiodare i libri (come fa il professore del suo film). Il problema sta in come li si legge...
«Si legge per capire. Ma se, nel momento in cui capisci, tu non cambi modo di fare, ecco che commetti peccato di omissione. Tanti intellettuali, scienziati, perfino uomini di Chiesa, parlano di ciò che hanno capito,ma si dimenticano di comportarsi di conseguenza».
(Originariamento pubblicato su Famiglia Cristiana 8, 2009)
Foto in alto: Ansa