Il lavoro minorile in
Europa non è scomparso. E la crisi economica rischia di peggiorare
la situazione. È quanto ricorda il Consiglio d’Europa a pochi
giorni dalla campanella d’inizio scuola.
Secondo
l’Organizzazione internazionale del lavoro, nel mondo sono 250
milioni i bambini e i ragazzi tra i 5 e i 14 anni costretti a
lavorare. Il problema, spesso associato unicamente ai Paesi in via di
sviluppo, è anche europeo. «Nel tentativo di farsi un’idea della
situazione nel nostro continente», ha spiegato Nils Muižnieks,
Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, «i miei
collaboratori hanno constatato che le informazioni sono molto
carenti. Di fatto, il lavoro minorile sembra essere un tabù.
Tuttavia, noi abbiamo dati sufficienti per affermare che è anche un
fenomeno europeo».
Secondo l’Unesco, in
Georgia lavora il 29% dei minori tra i 7 e i 14 anni, in Albania il
19%, mentre il Governo russo stima in un milione i bambini costretti
a lavorare.
In quali settori?
Dall’edilizia alle piccole fabbriche, dalla strada all’agricoltura,
magari esposti a carichi pesanti e a respirare pesticidi pericolosi.
In Bulgaria, il lavoro minorile è tipico dell’industria del
tabacco, fino a dieci ore a giorno. In Moldavia, sarebbero
addirittura stati firmati dei contratti tra i presidi di alcune
scuole e delle cooperative agricole per obbligare gli studenti a
partecipare alla raccolta della frutta e degli ortaggi.
Per il Commissario
Muižnieks,
«il
lavoro minorile rischia di svilupparsi anche nei Paesi duramente
toccati dalle misure di austerità: Cipro, Grecia, Italia e
Portogallo. Infatti, in tempi di crisi economica, le persone in
condizioni di fragilità sono sempre colpite in maniera
sproporzionata. Non stupisce quindi che il rallentamento della
crescita si traduca in un aumento del lavoro minorile. La recessione
ha spinto numerosi Paesi a ridurre in modo drastico il budget
dell’aiuto sociale. A fronte della crescita della disoccupazione,
alcune famiglie non trovano altra soluzione che far lavorare i propri
figli».
Sfruttamento, paghe risibili, rischi per la salute
E in Italia? A giugno,
l’Associazione Bruno Trentin e Save the Children hanno presentato
la ricerca “Game over”, secondo la quale nel Belpaese il lavoro
minorile riguarda 260 mila minori sotto i 16 anni, più di uno su
venti. Come Matteo, 9 anni, che vive a Napoli e
lavora in un cantiere spostando sacchi di cemento che pesano quasi
quanto lui per 10 euro alla settimana. Inconsapevolezza di essere
sfruttati, paghe risibili e rischi per la salute sono elementi
ricorrenti, come nel caso di chi lavora dalle 4 e mezzo di mattina
alle 3 di pomeriggio con le mani nel ghiaccio per un pescivendolo,
ricavandone a mala pena 60 euro a settimana. Lavorano
in orario scolastico o di notte, con il rischio reale di
compromettere gli studi, non avendo neanche un piccolo spazio per il
divertimento e mancando del riposo necessario.
Si
inizia anche molto presto, prima degli 11 anni (0,3%) e nella fascia
11-13 (3%), ma il picco di quasi 2 ragazzi su 10 (18,4%) arriva tra i
14 e 15 anni: è l’età di passaggio dalla scuola media a quella
superiore, nella quale si realizza in Italia uno dei tassi di
abbandono scolastico più elevati d’Europa (18,2%, contro una media
Ue del 15%).
Per
il 41% dei minori si tratta di un lavoro nelle mini imprese di
famiglia, 1 su 3 si dedica a lavori domestici continuativi per
più ore al giorno, anche in conflitto con l’orario scolastico, più
del 10% lavora presso attività condotte da parenti o amici.
Tuttavia, esiste un 14% di minori che presta la propria opera a
persone estranee all’ambito familiare, specialmente nella
ristorazione, nella vendita, nell’agricoltura e nell’edilizia.
Cosa si può fare?
Secondo Muižnieks, «la maggior parte dei Paesi si sono dotati di
una legislazione adeguata, ma non verificano che sia ben applicata».
Il Commissario si dice «profondamente preoccupato per la scarsa
attenzione che viene rivolta al lavoro minorile in Europa. Spesso i
funzionari pubblici sono a conoscenza del problema, ma pochi sono
disposti ad ammetterlo».
Accanto a controlli
seri ed efficaci, la soluzione potrebbe essere, ancora una volta, la
scuola: «Se il lavoro dei minori è un fenomeno grave», conclude il
Commissario europeo, «è anche perché ne compromette la
scolarizzazione: i loro risultati non tardano a risentirne e molti
finiscono per abbandonare la scuola. Questo non fa che perpetuare il
ciclo di povertà. Ciascun Paese deve applicare una politica
dell’infanzia che dia la priorità all’istruzione rispetto al
lavoro».