Una famiglia larga come il mondo. E una Chiesa che, come direbbe papa Francesco, è di tutti ma specialmente dei più poveri. È questa l’immagine del “popolo di Sant’Egidio” riunito a pregare per i defunti nella chiesa di San Bernardino a Milano, sabato 31 ottobre. E così si ricordano i parenti delle persone della Comunità insieme al piccolo Aylan Kurdi, il bambino siriano morto annegato sulle coste turche nel tentativo di raggiungere l’Europa, i propri cari insieme ai condannati a morte. «Sono parole – spiega Marialuisa Cito della Comunità di Sant’Egidio – pronunciate sotto l’ombra della morte, non lontano dalla croce, ma diventano anche un’occasione per guardare in una prospettiva di misericordia alle vite dei nostri amici e familiari, delle persone che abbiamo incontrato o di cui sappiamo. Dio si fa incontrare da tutti e dice soprattutto “Venite!”».
Alla preghiera hanno partecipato tanti milanesi accanto ad altrettanti rom, anziani, senza fissa dimora e stranieri. È un lungo elenco di nomi e volti. Si ricorda Ferdinando, morto un anno fa per un tumore, insieme a Mariana, 37 anni, anche lei stroncata dal cancro. Il primo è il marito di Maura, avvocato che fa parte della Comunità, mentre la seconda è una mamma romena, cognata della donna rom che da tempo lavora come colf a casa di Maura e Ferdinando e che, grazie a questo impiego, ora paga l’affitto di una casa e non vive più in baracca.
Del resto, papa Francesco, visitando la sede romana di Sant’Egidio nel giugno 2014, ha detto: «Tra voi si confonde chi aiuta e chi è aiutato. Una tensione che lentamente cessa di essere tensione per diventare incontro, abbraccio: si confonde chi aiuta e chi è aiutato. Chi è il protagonista? Tutti e due, o, per meglio dire, l’abbraccio». E Nicoleta, figlia di Mariana, abbraccia la sua maestra mentre sente ricordare la mamma. Intanto si legge: «Ti preghiamo per tutti gli amici che, dopo lunga malattia, ci hanno lasciato, in particolare Mariana, Ferdinando, Ismeta, Venco, Lucian. Ti preghiamo per tutti i malati e per chi è vicino alla morte, dai forza a tutti i loro cari per sopportare il dolore, nella speranza della Resurrezione». Poi c’è la preghiera per gli anziani, «amici affettuosi ed esempi di saggezza nelle loro famiglie».
Anche qui la famiglia di Sant’Egidio è larga: Piero, che per anni ha vissuto in una casa creata come alternativa ai grandi istituti spersonalizzanti; Fabio, padre di un membro della Comunità morto il mese scorso; la coppia di sposi Mujo e Zejnep, rom bosniaci deportati da bambini nel lager di Jasenovac e poi vissuti nel campo nomadi milanese di via Triboniano; l’albanese Zef, un orfano che è diventato vecchio nei 43 anni passati nell’ospizio di Scutari ed è morto a marzo. Ai volontari che dalle città italiane ed europee lo visitavano nei primi anni Duemila spiegò: «Voi venite a Natale e d’estate, ma noi abbiamo bisogno di un'amicizia fedele, amici che vengano tutte le settimane a trovarci». Dalla sua richiesta nacque la Comunità di Scutari, formata da giovani albanesi, e quando con loro Zef incontrò il Papa in visita in Albania, gli ha detto: «Questi ragazzi sono diventati la famiglia che non ho mai avuto». Continua il ricordo dei “defunti della famiglia di Sant’Egidio”. Abish è un bambino di dieci anni, morto nell’attentato alla chiesa di Lahore lo scorso marzo, che frequentava la Scuola della Pace in Pakistan. La stessa a cui erano cresciuti il ragazzino sinto Daniel a Milano e i rom slavi Lilli e Sale a Roma. Segue un lungo elenco di bambini e neonati morti nel capoluogo lombardo in circostante tragiche. Nell’udienza di 7mila rom in Vaticano il 26 ottobre scorso, il Papa ha detto: «Non vogliamo più assistere a tragedie familiari in cui i bambini muoiono di freddo o tra le fiamme». Nella chiesa di San Bernardino si prega per Elena, rom romena annegata nel 2007 a quattro anni nel canale dietro all’abbazia di Chiaravalle, Emil, morto nel giorno del tredicesimo compleanno nel rogo della sua baracchina in via Novara, Marian, adolescente ucciso da un incendio nella fabbrica dove abitava a Sesto San Giovanni (MI): si era addormentato lasciando accesa una candela che serviva per allontanare i topi. Alla preghiera sono presenti anche i parenti dei piccoli fratelli Sabina, Nelson, Arman e Monica, rom slavi morti nel rogo di una roulotte nell’inverno del 1995: in quell’occasione iniziò una storia di amicizia con Sant’Egidio che è continuata in questi vent’anni.
I “morti di povertà” sono tanti. Saban, rom romena morta in un incidente mentre cercava vestiti in un cassonetto, o Cornel, schiacciato a 53 anni dal container di rifiuti nella discarica in cui stava prendendo i pezzi per costruire la baracca. E ancora, tre romeni travolti da un treno mentre cercavano materiali per scaldarsi vicino alla ferrovia e Mitel, ucciso in Romania da una guardia forestale perché tentava di tagliare il ceppo di un albero. Infine si ricorda Maurizio, italiano morto in un Comune alle porte di Milano. Tra i rom presenti molti lo conoscevano, l’amicizia con sua madre Anna è uno dei simboli della “famiglia di Sant’Egidio”. L’ha raccontata Georgel, ragazzo di 11 anni che, dopo anni di sgomberi e baraccopoli («Non potevo guardare le partite dei Mondiali»), ora vive in casa. Spiega: «Stiamo aiutando la signora Anna, che è italiana e sta per compiere 84 anni. La tragedia di questa signora è che ha perso tutta la sua famiglia. Noi l’abbiamo conosciuta perché abitava al piano sotto di noi e ogni sera veniva a guardare le telenovele con noi: così è diventata una specie di nonna. Quando è morto suo figlio, ha perso la casa perché non aveva pagato l’affitto. Allora abbiamo deciso di non lasciarla sola. L’abbiamo invitata in casa nostra e le abbiamo offerto un letto in cui dormire per sei mesi. A volte è stato un po’ difficile aiutare la signora Anna, ma noi ci siamo abituati a lei, e lei a noi, e infatti lei a volte ci fa dei regali per dire che siamo come i suoi nipoti».
Aggiunge Georgel: «È come una catena: noi rom di Sant’Egidio siamo stati aiutati dalla Comunità ad andare a scuola, conoscere il mondo, vivere in casa e non per strada. Adesso anche noi possiamo aiutare altri».