Doveva arrivare il “matematico impertinente” Piergiorgio Odifreddi per "rivelare" lo stile di Benedetto XVI. È bastata, infatti, una lettera del Papa emerito all'ateo militante più famoso d'Italia perché molti scoprissero l'acqua calda. Che cioè Joseph Ratzinger non è, come una certa pubblicistica ideologica gli ha cucito addosso, anche all'interno della Chiesa, un “pastore tedesco”, un fanatico dell'ortodossia, l'occhiuto difensore dei dogmi e un inquisitore feroce ma un teologo e un intellettuale aperto al dialogo, amante della filosofia, che ha sempre considerato il rapporto con laici e con i non credenti molto importante. Decisivo, addirittura, perché, come ha detto più volte, Dio, il “grande sconosciuto”, non scomparisse definitivamente dall'orizzonte dei contemporanei, almeno in Occidente.
Dialogare con i non credenti e gli intellettuali laici (compresi coloro che con un certo autocompiacimento si definiscono atei e persone “non in ricerca”) è stato uno dei compiti principali del pontificato di Benedetto XVI il quale, tralasciando compiti più burocratici e d'apparato, s'è fatto pellegrino nei deserti del mondo moderno per annunciare, con le parole prima ancora che con i gesti, che la fede cristiana ha un fondamento razionale nel quale ognuno, al di là della personale adesione nel Dio fattosi uomo in Cristo, può riconoscersi. «Io penso», confidò una volta al suo biografo Peter Seewald, «che Dio, visto che ha fatto papa un professore, abbia voluto mettere in risalto proprio questo elemento della riflessività e della lotta per l’unità tra fede e ragione».
Papa Ratzinger ha sempre messo al primo posto questo dialogo-confronto con le ragioni di chi non crede che non era, nella sua visione, puro esercizio intellettualistico ma una priorità stessa della missione della Chiesa. «Considero importante», spiegò nel discorso alla Curia romana in occasione del Natale 2009, «soprattutto il fatto che anche le persone che si ritengono agnostiche o atee, devono stare a cuore a noi come credenti. Quando parliamo di una nuova evangelizzazione, queste persone forse si spaventano. Non vogliono vedere se stesse come oggetto di missione, né rinunciare alla loro libertà di pensiero e di volontà. Ma la questione circa Dio rimane tuttavia presente pure per loro, anche se non possono credere al carattere concreto della sua attenzione per noi. Come primo passo dell’evangelizzazione dobbiamo cercare di tenere desta tale ricerca; dobbiamo preoccuparci che l’uomo non accantoni la questione su Dio come questione essenziale della sua esistenza. Preoccuparci perché egli accetti tale questione e la nostalgia che in essa si nasconde».
Un'ansia di dialogo che lo ha portato a istituire un'iniziativa ad hoc, il Cortile dei Gentili, spiegandone il motivo: «Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di “cortile dei gentili” dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa. Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto».
Inaugurando il “Cortile” tornò ancora sull'argomento con parole di profonda apertura verso chi è lontano dalla fede: «Le religioni», affermò, «non possono aver paura di una laicità giusta, di una laicità aperta che permette a ciascuno di vivere ciò che crede, secondo la propria coscienza. Se si tratta di costruire un mondo di libertà, di uguaglianza e di fraternità, credenti e non credenti devono sentirsi liberi di essere tali, eguali nei loro diritti a vivere la propria vita personale e comunitaria restando fedeli alla proprie convinzioni, e devono essere fratelli tra loro».
Nel settembre 2009, sul volo che lo portava da Roma a Praga, disse che il dialogo con il mondo laico per la Chiesa è addirittura una modalità di presenza nel mondo moderno. Ecco le sue parole: «La Chiesa deve attualizzare, essere presente nel dibattito pubblico, nella nostra lotta per un concetto vero di libertà e di pace. Così, può contribuire in diversi settori. Direi che il primo è proprio il dialogo intellettuale tra agnostici e credenti. Ambedue hanno bisogno dell’altro: l’agnostico non può essere contento di non sapere se Dio esiste o no, ma deve essere in ricerca e sentire la grande eredità della fede; il cattolico non può accontentarsi di avere la fede, ma deve essere alla ricerca di Dio ancora di più, e nel dialogo con gli altri ri-imparare Dio in modo più profondo. Questo è il primo livello: il grande dialogo intellettuale, etico ed umano».
Nel 2008 durante l'incontro con il mondo della cultura francese al Collège des Bernardins di Parigi Ratzinger spiegò, in un discorso che affascinò gli ascoltatori, della ricerca di Dio come il motivo fondamentale dal quale è nato non solo il monachesimo occidentale ma la stessa cultura che ha plasmato l'Occidente.
Quando, infine, si è trattato di affrontare i temi etici, dalla bioetica ai temi cruciali del nascere e del morire, ha cercato di dialogare con molti intellettuali non cristiani o addirittura agnostici e spiegare loro la razionalità della morale cattolica partendo non dai dogmi o dalla Rivelazione ma dalla natura umana in sé considerata e da quell'esperienze (come l'essere figli e avere un padre e una madre) che sono comuni all'uomo in quanto tale, quindi universali, precedono le scelte di ognuno in materia di fede e fanno parte dell'esperienza umana.
Nel discorso sull’ideologia del gender, ad esempio, citò il discorso di un non cattolico, il gran rabbino di Francia, affermando come su alcuni temi che hanno a che fare con la natura stessa dell’uomo tutti, dai laici ai leader delle altre religioni, possono collaborare insieme.
Ecco perché la lettera di risposta a Piergiorgio Odifreddi non è un atto estemporaneo del Papa emerito ma descrive perfettamente lo stile di Ratzinger e le aperture del suo pontificato che ora Francesco sta portando avanti.