L’art. 53 della nostra Costituzione recita: «Tutti
sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche
in ragione della loro capacità contributiva. Il
sistema tributario è informato a criteri di progressività
». Tuttavia la storia di questi decenni di Italia repubblicana
ha reso questo articolo uno dei più disattesi
della nostra Costituzione, da diversi punti di vista.
In particolare sembra svanire il legame tra cittadinanza
e diritto/dovere fiscale, inteso come modalità
attraverso cui da un lato ciascun cittadino contribuisce
al bene comune (alle “spese pubbliche”) attraverso
le tasse, dall’altro, proprio per l’osservanza
di tale dovere, è titolato a esigere che queste risorse
vengano destinate a scopi di bene comune: servizi,
solidarietà verso i più deboli, infrastrutture sociali
ed economiche, come l’amministrazione della giustizia,
la sicurezza, l’istruzione, la sanità, l’equità sociale.
Proprio l’equità, però, appare scarsamente garantita
dall’attuale sistema: il gigantesco tema dell’evasione
fiscale pone un problema radicale all’equità
del sistema, incapace di «togliere ai ricchi
per dare ai poveri» (la “progressività” dell’art. 53).
Tuttavia un’altra dimensione di iniquità è salita
con forza alla ribalta, in particolare negli ultimi mesi
dello scorso anno, anche grazie alla Conferenza
sulla Famiglia organizzata dal Governo a Milano dall’
8 al 10 novembre 2010, dopo lunghi anni di colpevole
dimenticanza e negligenza: l’equità familiare.
Di fatto il nostro sistema fiscale, nel corso degli anni,
ha progressivamente dimenticato che la «capacità
contributiva» del contribuente dipende dalla dimensione
familiare, vale a dire dal numero di persone
che devono essere mantenute dalla
ricchezza di un percettore di reddito.
In concreto, se una famiglia di due
persone dispone di un reddito di 50
mila euro, la sua “capacità contributiva”
(la ricchezza da tassare) è ovviamente
molto più alta di una famiglia
che dispone sempre di 50 mila euro,
ma è composta da 5
persone; invece nel nostro
sistema la differenza
di tasse da pagare
tra queste due famiglie
è praticamente risibile,
mentre in molti altri
Paesi la famiglia “fa
realmente la differenza”
sulle tasse da pagare.
Per questo il Forum
delle associazioni familiari
da anni chiede
“un fisco a misura di famiglia”,
con proposte
di legge, emendamenti,
interventi nel dibattito
sulle leggi finanziarie che si sono
succedute negli anni, fino alla raccolta
di oltre un milione di firme, nel
2008, consegnate al Presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano in occasione
della Giornata Internazionale
della Famiglia, il 15 maggio, trasmesse
ai Presidenti delle Camere in attesa
dell’insediamento del Governo e oggi
custodite probabilmente in qualcuno
dei capienti “cassetti di scrivania” della
nostra politica nazionale, dove troppo
spesso vengono infilate (e dimenticate)
le legittime richieste del popolo
italiano.
La richiesta di un fisco a misura di
famiglia è quindi una richiesta di equità,
non di privilegi o di sostegni assistenziali;
essa intende attuare il dettato
costituzionale, non come “costo aggiuntivo”
per la finanza pubblica, ma
come “investimento” per il rilancio
del Paese, soprattutto in questa difficile
e perdurante crisi. Agire tramite la
leva fiscale sul sostegno alle famiglie
con figli certamente restituisce capacità
di spesa e di consumo a chi da troppi
anni ha visto compresse le proprie
esigenze; il fatto che oltre il 40% delle
famiglie con tre figli e più viva sotto la
soglia di povertà (dati Istat 2008), oltre
a essere inaccettabile in un Paese
che pretende di essere tra le economie
più avanzate a livello
mondiale, segnala
anche che restituire potere
di acquisto a queste
famiglie si tradurrebbe
immediatamente
in nuovi consumi, in
nuove spese, e quindi
in nuova occupazione,
in nuove opportunità
di impresa, potenziando
e rafforzando la ripresa
economica e lo
sviluppo dei settori economici
che forniscono
servizi e prodotti al
consumo familiare.
Quindi nuova ricchezza, nuove tasse,
nuovo lavoro: un affare per tutti. Anche
per questo le pur legittime preoccupazioni
sui costi di una manovra fiscale
a favore delle famiglie non possono
bloccare l’urgenza di una decisione
a questo riguardo.
Per tale motivo nell’autunno 2010
il Forum delle associazioni familiari,
dopo lunghi mesi di elaborazione e di
discussione al proprio interno, ha lanciato
una nuova proposta di riforma
del fisco “a misura di famiglia”, sinteticamente
definito FattoreFamiglia,
che ha già raccolto numerosi consensi
e grande attenzione nel mondo della
politica, dei media, degli esperti
(vedi la proposta completa sul sito
www.forumfamiglie.org). Questo nuovo
modello, costruito in continuità con
quanto il Forum ha già progettato e
proposto negli anni scorsi, ha intercettato
il dibattito politico e tecnico sulla
riforma del fisco, spesso cristallizzatosi
sulla formula “quoziente familiare”, per proporre un meccanismo innovativo
che supera le obiezioni a tale modello,
e che finalmente consente di riconoscere
i carichi familiari come elemento
decisivo nel determinare l’imposizione
fiscale. In breve, il FattoreFamiglia si propone di realizzare finalmente
l’equità fiscale a misura di famiglia,
gravemente tradita dai meccanismi
del prelievo fiscale oggi operanti.
Ripartire dal FattoreFamiglia può
offrire alla politica del nostro Paese
un’opportunità di dibattito e di azione
che non sia subito intrappolata nello
scontro ideologico tra partiti e
schieramenti, ma che consenta finalmente
di trovare un tema condiviso
di interesse nazionale. Governo, partiti,
parlamentari di tutti gli schieramenti
potrebbero ritrovare attorno all’equità
fiscale per le famiglie con figli
un contenuto su cui discutere “per
il bene comune”, senza pregiudizi,
steccati preconfezionati, scontri personali.
Ed è sotto gli occhi di tutti
quanto ci sia bisogno, nel nostro Paese,
di un colpo d’ala, di trovare temi e
scelte generali che ci facciano uscire
dalla palude, verso nuove strategie.
I principali criteri che guidano questa
ipotesi di riforma fiscale in estrema
sintesi sono così descrivibili:
1) No tax area familiare: il principio
base è che i soldi spesi dalle famiglie
per mantenere le persone a carico
non devono essere tassati (come avviene
invece oggi), perché non sono
ricchezza disponibile, ma risorse obbligatoriamente
impegnate per una
responsabilità pubblica (obbligo di
mantenimento verso i figli). Il FattoreFamiglia introduce il criterio secondo
cui più persone/figli sono presenti
nel nucleo, maggiore è la no tax area;
per esempio, una famiglia di tre persone
avrà una no tax area familiare di
15.400 euro, una famiglia di sei persone
avrà una no tax area di 30.800 euro
(per i dati e i meccanismi tecnici si rimanda
al testo della proposta). L’entità
delle cifre segnala subito che questa
operazione è economicamente rilevante,
non “simbolica”. La no tax
area può essere applicata da entrambi
i coniugi dichiaranti, con il peso dei figli
a carico distribuito tra i due, così
pure per gli elementi aggiuntivi quali
la disabilità, situazioni lavorative particolari,
compiti di cura verso anziani
anche non conviventi, eventuali differenziazioni
tra lavoro dipendente e
autonomo, scarico di fatturazioni “scaricabili”
quali medicinali e altri generi
di prima necessità, parificazione tra
nuclei monoreddito e bireddito, ecc.
2) Valori della no tax area: si propone
di utilizzare per la no tax area la soglia
di povertà individuata dall’Istat
(a oggi un reddito di poco più di 7 mila
euro annue); in tal modo, il dato
non viene fissato arbitrariamente, ma
è garantito da un’agenzia istituzionale;
inoltre può seguire di anno in anno
il costo della vita. Tale soglia viene
poi ricalcolata con un “coefficiente familiare
pesato” che valuta in modo
più adeguato i carichi familiari (nell’attuale
Isee il terzo figlio vale 0,35 di
sgravio, nel FattoreFamiglia 0,80).
3) Flessibilità: un altro aspetto di
grande interesse del FattoreFamiglia
è che il sistema può facilmente incorporare
criteri integrativi di equità
(per esempio maggiore protezione fiscale
in presenza di persone disabili,
di vedovanza, monogenitorialità; può
inoltre rendere più equa la tassazione
dei redditi).
4) Beneficio fiscale a quota fissa:
per garantire equità dei benefici tra i
vari redditi (una delle principali critiche
rivolte al quoziente familiare nelle
sue varie forme), il beneficio fiscale
del FattoreFamiglia viene goduto alla
più bassa aliquota di sgravi fiscali; in
altri termini non pago le tasse, sulla
no tax area, con lo scaglione più basso
di prelievo fiscale (oggi il 23%). Quindi
ogni figlio/persona a carico “vale”
un beneficio fiscale uguale, sia per
redditi bassi e alti, sia secondo il numero
dei figli (l’Isee, paradossalmente,
pesa di più il primo e il secondo figlio
rispetto al terzo e ai successivi).
5) Benefici uguali a livello nazionale:
il FattoreFamiglia deve essere applicato
allo stesso modo su tutto il territorio
nazionale. Si garantisce così
l’equità fiscale a misura di famiglia come
un diritto di cittadinanza universalistico,
uguale per tutte le famiglie in
tutto il Paese. Interventi specifici a livello
regionale, secondo il federalismo,
possono poi essere introdotti
per esempio consentendo alle Regioni
di intervenire sugli assegni al nucleo
familiare (strumento da ripensare
radicalmente); infine, anche i Comuni
potrebbe agire sulle tariffe, aggiungendo
ulteriore flessibilizzazione
territoriale (come il “quoziente Parma”
ha dimostrato). In altre parole, il
FattoreFamiglia consente uguaglianza
di diritti nazionali e modulazione
federalista.
6) Incapienti: per le famiglie con figli
con redditi medio-bassi, che già oggi
difficilmente beneficiano dei pochi
sgravi fiscali disponibili, il FattoreFamiglia
propone un meccanismo di
“imposizione negativa”, che riconosce
cioè un credito d’imposta, da riscuotere
come assegno monetario o
come credito per le imposte per gli
anni seguenti. Questa specifica attenzione
all’area dell’incapienza implica
costi molto alti (dato che sono milioni
le famiglie in questa situazione),
ma costituisce anche uno strumento
di contrasto e prevenzione del “rischio
povertà”, oggi presente anche
per i cosiddetti working poors, cioè
quelle famiglie che sono povere pur
percependo un reddito da lavoro (anche
dipendente, anche a tempo indeterminato).
Conviene comunque ricordare,
in conclusione, che il FattoreFamiglia
sostanzialmente non modifica
l’attuale meccanismo di rilevazione
e di imposizione fiscale a base
individuale dei redditi, ma aggiunge
una maggiore – e più equa – valorizzazione
dei carichi familiari, diminuendo
il prelievo fiscale a chi deve farsi carico
di altre persone (in primis i figli).
In tal modo questa riforma è applicabile
da subito, e non esige una rivisitazione
radicale dei meccanismi operativi
del prelievo fiscale. Questo non
significa però abbandonare l’idea della
soggettività fiscale della famiglia,
concetto strettamente connesso all’idea
– all’origine stessa del Forum –
di cittadinanza della famiglia. Tuttavia
la strada verso il riconoscimento
della soggettività fiscale della famiglia
appare oggi ancora molto lunga e impervia,
e costituisce quindi un obiettivo
di lungo periodo; il FattoreFamiglia,
invece, assumendo l’imposizione
fiscale a base individuale, consente di
rispondere tempestivamente all’urgenza
di sostegno – fiscale, ma non solo
– che oggi la famiglia esprime nel
nostro Paese. È tempo di passare dai
fatti alle parole, e quel tempo è ora!
Francesco Belletti,