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venerdì 13 settembre 2024
 
Giornata del malato
 

Non lasciamoli soli, per una pastorale sanitaria di prossimità

11/02/2022  Oggi si celebra la trentesima Giornata mondiale istituita nel 1992 da san Giovanni Paolo II per ricordare chi soffre. Don Nicola Galante, giovane sacerdote impegnato tra i ricoverati di un ospedale a Santa Maria Capua Vetere: "Porto l'umanità in corsia".

Don Nicola Galante, sacerdote dell'Arcidiocesi di Capua.
Don Nicola Galante, sacerdote dell'Arcidiocesi di Capua.

«Tento di portare nei due luoghi di cura anzitutto l’esperienza della mia umanità, sulla quale si radica l’avventura del mio essere sacerdote». Don Nicola Galante, 31 anni, nativo di Caserta è cappellano volontario presso il Presidio Ospedaliero “San Giuseppe e Melorio”, ri-convertito in Covid Hospital, a Santa Maria Capua Vetere (Caserta). «La mia vocazione al mondo della sofferenza affonda le sue radici nell’adolescenza ma poi è maturata durante il mio primo pellegrinaggio a Lourdes, il santuario della sofferenza accolta e vissuta con Maria alla scuola di Gesù, e via via rafforzata con la lettura delle biografie di San Giovanni di Dio e San Camillo de Lellis e le visite ad alcuni infermi del mio paese». Don Nicola ha un interessante cammino di vita alle spalle: dopo la laurea in Scienze politiche alla Seconda Università di Napoli, è entrato nel Pontificio Seminario Campano Interregionale di Napoli ed è stato ordinato presbitero il 18 giugno 2020 nella Basilica Cattedrale di Capua. Tra le varie attività è anche Vicario parrocchiale nella Parrocchia Maria SS. Assunta nella Basilica Cattedrale di Capua, notaio presso il Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano Partenopeo e professore di religione presso il Liceo Scientifico “Garofano” di Capua.

 

Don Nicola, lei è un giovane sacerdote appena ordinato, impegnato nella pastorale della salute. Come si vive da preti di corsia la misericordia verso i sofferenti?

«Nelle mie varie attività cerco sempre di tessere relazioni di ascolto, amministrare i sacramenti della Penitenza, Eucaristia e Unzione degli infermi, portare qualche gadget religioso e snack, per ravvivare la speranza e regalare un sorriso. Papa Francesco parla di “misericordia pastorale” come “presenza e prossimità”. In corsia la misericordia verso i sofferenti si declina nell’arte di accostarsi con rispetto alla libertà della persona, nell’ascolto del suo vissuto e delle sue emozioni, nel compimento di semplici gesti pregni di paterna maternità, fino a lasciarsi guidare dalla “fantasia della carità».

 

Come è organizzata la pastorale della salute nella sua diocesi?

«Nella mia Diocesi esiste l’Ufficio diocesano per la Pastorale della salute, diretto da un bravo sacerdote molto vicino alla spiritualità di Lourdes e col quale collaboro da qualche anno. In genere, oltre a condividere il programma annuale degli incontri di formazione on line suggeriti dall’Ufficio Nazionale per la Pastorale della salute, si propongono dei momenti di catechesi e preghiera, che vedono la presenza di alcuni volontari AVO, di religiose e di laici impegnati. Da qualche anno, la Giornata mondiale del Malato, per desiderio del nostro Arcivescovo, viene celebrata a livello parrocchiale, per valorizzare l’attenzione ai malati nelle rispettive comunità parrocchiali ed evitare che la Giornata passi come il “grande evento”. È in fieri la costituzione della Consulta Diocesana per la Pastorale della salute».

 

Cosa isola il malato dal resto dell’umanità nel corso della malattia? Come la comunità cristiana, concretamente, può farsi carico della solitudine dei sofferenti?

«Mi è capitato di incontrare malati che si deprimono, riscontrando in loro un’anemia di relazione e una bulimia di solitudine. Occorre che il malato si senta amato nella sua individualità, accolto per la sua esperienza di vita e accompagnato amorevolmente nel cammino di cura. Credo che sia opportuno rileggere il documento della Commissione Episcopale per il servizio della carità e la salute, “Predicate il Vangelo e curate i malati. La comunità cristiana e la pastorale della salute”, per ritrovare lo slancio nella pastorale con i malati, ricordando che essa è parte integrante della pastorale ordinaria. Del resto, i malati figurano tra le 15 sagome presenti nel logo del cammino sinodale.  Concretamente, oltre al servizio encomiabile reso dai ministri straordinari della Santa Comunione nei primi venerdì del mese e nelle domeniche, si potrebbe creare una giornata parrocchiale del malato a cadenza mensile, dove si riserva un’intenzione della preghiera dei fedeli ai malati, oppure pensare ad un’adorazione eucaristica animata dai giovani per tutti i bambini e i giovani oncologici. Sarebbe bello contattare o fare visita ai malati della propria comunità parrocchiale in occasione del compleanno, portando una cartolina augurale e facendo una preghiera insieme».

 

Negli ospedali l’emergenza covid come si è fatta sentire? Quale grido dei sanitari coglie dopo 2 anni di pandemia?

«Il presidio ospedaliero dove presto il mio servizio pastorale è stato riconvertito in Covid Hospital. Può immaginare l’impatto iniziale su tutto il personale sanitario in termini di asset e di emozioni; ma, dopo qualche iniziale difficoltà, si è affrontata la sfida con uno spirito di forte collaborazione. Mi ha sempre colpito il modo professionale ed umano tenuto dai sanitari nei riguardi dei malati da Covid-19: essi, infatti, non solo somministravano la terapia medica ma anche la terapia della vicinanza affettiva. Credo che tanti medici, infermieri ed operatori sanitari sparsi in ogni angolo del pianeta, possono essere chiamati “eroi”, per il coraggio di aver toccato la carne sofferente di Cristo. Dopo due anni di pandemia, i sanitari custodiscono il desiderio di “poter respirare”, a pieni polmoni, e ritornare alla normalità».

 

Il tema della Giornata mondiale della comunicazione di quest’anno parla della necessità dell’ascolto. Cosa significa ascolto dei sofferenti nella sua esperienza pastorale?

«Ritengo molto nitida la metafora dell’“apostolato dell’orecchio”, coniata da Papa Francesco. Indispensabile nella nostra azione pastorale, essa risulta quanto mai attuale in questa stagione ecclesiale, in cui siamo invitati a vivere la sinodalità come un camminare insieme, ascoltando i “segni dei tempi” e trovando nuovi modi per comunicare la freschezza del Vangelo. Questo vale anche per noi che operiamo con i sofferenti. Alla base di ogni autentica relazione, occorre una buona dose di ascolto, che G. Colombero chiama “atto spirituale”, per poter entrare in empatia con il malato. Nella mia esperienza pastorale l’ascolto dei sofferenti vuol dire accogliere il mosaico dell’umanità, accompagnare le fragilità e avviare percorsi di riconciliazione, sempre in un atteggiamento umile e misericordioso».

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