Il tema dell’aumento delle convivenze
è stato uno dei mutamenti
della società italiana preso in
considerazione durante il Sinodo
straordinario sulla famiglia
dell’ottobre 2014 e sarà di nuovo
affrontato nel Sinodo generale,
che si svolgerà dal 4 al 25 ottobre
prossimi. Pierpaolo Donati, docente
di Sociologia all’Università di Bologna
e curatore del Rapporto Cisf sulla
famiglia, ha approfondito e studiato il
fenomeno da decenni.
«Bisogna distinguere svariate forme
di convivenze: c’è chi ha intenzione
di sposarsi, ma convive per varie
ragioni soggettive o oggettive, come la mancanza della casa, del lavoro o
semplicemente del denaro per la cerimonia
nuziale, che si ritengono indispensabili
per sposarsi. C’è chi convive
“per prova”, ossia per vedere se la scelta
del partner è quella giusta, e chi, molti
meno, non ha alcuna intenzione di
sposarsi. Nel recente passato la maggior
parte delle coppie giovani sceglieva
la convivenza per motivi economici,
ma poi questa scelta è diventata
uno stile di vita ammesso dall’opinione
pubblica, con la giusticazione che
la coppia debba attendere per diventare
più matura per il matrimonio»
Negli ultimi dieci anni i matrimoni
sono calati del 23 per cento, mentre le separazioni sono cresciute del 58
per cento e i divorzi del 70 per cento.
Che cosa sta succedendo?
«Meno matrimoni e un aumento
del numero di chi si separa o divorzia
signica un maggior “spappolamento”
del tessuto sociale. La disaffezione
al matrimonio si accompagna a un
altro indicatore, il fatto che continua
a prevalere il regime di separazione
dei beni, di un individualismo in forte
crescita non solo fra chi non si sposa,
ma anche nelle coppie sposate. C’è una
crescente debolezza del legame di coppia,
con gravi ripercussioni sulle nuove
generazioni. Prevale decisamente
la precarietà del legame, per ragioni sia oggettive (crisi economica, disoccupazione,
mancanza di sicurezze),
sia soprattutto soggettive (incapacità
di decidere una stabilizzazione o non
desiderarla per i più svariati motivi
psicologici e culturali)».
Nel Rapporto del Cisf, Identità e varietà dell’essere famiglia: il fenomeno della “pluralizzazione”, (San Paolo), avevate già messo in luce la frammentazione dei legami di coppia. Un fenomeno che continuerà ad aumentare?
«Si accentuano tendenze come la crescita dei single e dei gli con un genitore solo e sono in leggero aumento le famiglie ricostituite dopo separazione o divorzio, ma soprattutto cresce il relativismo culturale nel denire la famiglia, che ora, più di allora, viene sempre più identicata con la pura famiglia anagrafica, cioè l’insieme delle persone che abitano assieme, indipendentemente dal sesso e dalle relazioni che hanno fra loro».
Quelle che alcuni amano definire la “nuove famiglie”.
«Il termine è ormai così generico e indeterminato da diventare inutile, una volta che si ritenga, come sostengono altri, che ogni forma di coabitazione fra persone che hanno relazioni affettive e di cura reciproca sia una famiglia. Bisogna prendere atto che alla definizione di “pluralizzazione delle forme familiari” corrisponde l’implosione del concetto stesso di famiglia, che diventa equivalente di una relazione primaria di tipo affettivo, priva di quello che io chiamo il “genoma sociale” – cioè le qualità e proprietà umane specifiche – della famiglia»
Fino a pochi anni fa molte convivenze evolvevano in matrimoni soprattutto alla nascita di un figlio. Ma come mai molti di questi matrimoni, pur preceduti da una “prova”, si sono rotti spesso dopo pochi mesi?
«Il tempo medio che intercorre fra il matrimonio e la sua rottura, anche in presenza dei figli, si va riducendo rapidamente. È correlato, da un lato, all’individualizzazione dei comportamenti e, dall’altro, alla facilitazione della separazione e del divorzio. Questi due fattori si alimentano a vicenda, producendo una cultura priva di riflessività che vede nel legame sociale solo una costrizione e non una risorsa, e dunque lo evita. Il tipico modello mediterraneo del passato per cui l’arrivo di un glio nella coppia signicava la corsa al matrimonio è ormai solo un ricordo, comunque non è più stringente perché la società legittima le persone a fare scelte che sono primariamente dettate e giusticate da sentimenti soggettivi. Nei confronti dei gli ci si giustica dicendo che, mentre si è compagni di vita solo nché ci si ama, con i gli si è “genitori per sempre”. E questo acuisce enormemente lo stress, le ansie, le patologie affettive e psichiche di chi deve continuare a essere genitore. La legge non dà più alcuna attribuzione di “colpa” al fallimento della coppia, mentre non perdona il venir meno degli obblighi genitoriali»
Questi mutamenti cambiano anche i rapporti tra genitori e figli?
«È un rapporto che diventa sempre più vincolante sia nel caso dei figli che stanno in famiglia a lungo, sia per i figli di separati e divorziati, due fenomenologie diverse ma accomunate dal peso crescente che ricade sui genitori di coppie privatizzate, prive di reti di sostegno da parenti o amici stretti. Ciò fa emergere una certa schizofrenia nelle coppie in crisi e genera una varietà di nuovi bisogni materiali, sociali, psichici, senza precedenti, a cui la società non può far fronte. Il risultato è un notevole declino della qualità di vita, la precarietà del senso di benessere e un generale sentimento di infelicità, di vuoto interiore, da cui poi, per circoli viziosi che si autoalimentano, tante altre patologie, incluse le violenze nella coppia, o l’incuria e l’abbandono. Le persone si rendono conto di aver creato esse stesse delle situazioni problematiche a cui non possono porre rimedio. E questo aumenta il senso di infelicità e fallimento esistenziale».
In questi mesi è in corso un importante
dibattito sulla questione
delle unioni civili. Le persone che
convivono sceglierebbero queste forme
di regolarizzazione?
«C’è in atto un tentativo di contrabbandare
il matrimonio chiamandolo
unione civile, e dandogli (quasi)
tutti i diritti del matrimonio. Dalle
ricerche che sono state condotte, direi
che il concetto di unione civile – se in
teoria riguarda anche le coppie etero
– di fatto interessa soprattutto le coppie
omosessuali. Quelle etero, infatti,
se vogliono regolarizzarsi hanno il
matrimonio. Di fatto, tutti i tentativi
di istituire dei registri delle coppie
conviventi in vari Comuni italiani
sono completamente falliti. Falliti
soprattutto per le coppie etero, mentre
alcune coppie omo si sono iscritte,
ma il loro numero è stato veramente
insignicante. Il fatto è che le unioni
libere sono e vogliono essere libere per
denizione. Se vengono regolarizzate,
perdono la loro libertà, a meno che non ottengano solo vantaggi e nessun
serio obbligo di fronte alla collettività.
Il tentativo di far passare come unione
civile un istituto giuridico del tutto
equivalente al matrimonio è fonte di
confusione. Assisteremo a una perdita
di senso di entrambi i concetti,
perché le coppie “unite” o “sposate”
saranno solo coppie formali, e di fatto
solo aggregazioni di individui che
si danno un reciproco piacere, finché
persiste. La Chiesa non ha ancora una
strategia di fronte a questo orizzonte
che non è lontano. Pensa a come porre
dei rimedi. In realtà, solo una nuova
“cultura delle relazioni generative”potrebbe dare alle coppie quel quid in
più che dona speranza e fiducia in una
vita impegnata, “ingaggiata” nel dono
reciproco fra chi intende l’amore non
come passione amorosa, ma come ricerca
e di quel bene relazionale che
solo il vincolo sponsale può dare. Ma
questa cultura relazionale, se è presente
in astratto nella dottrina, non è ancora
diffusa nella sua consapevolezza
pratica e nella pastorale ordinaria».
Ma come è possibile comunicare
che il matrimonio serve alla società?
«Tutti lo sanno e tutti lo capiscono
molto bene. Il matrimonio è correlato
a tassi più elevati di felicità, salute fisica e mentale, aspettative di vita,
capacità di avere una vita ordinata,
avere un lavoro, responsabilità verso
i figli e verso la comunità, e così via.
Il problema è che il matrimonio non
è solo una scelta razionale, ma implica
dei rischi, dei costi imprevisti e
imprevedibili, implica un “salto nel
buio”, qualcosa che richiede un atto
di fiducia, e una serie di virtù correlate.
Papa Francesco ha detto una cosa
che non si può capire se non in questa
prospettiva, quando si è chiesto se “la
crisi di fiducia collettiva in Dio, che ci
fa tanto male, ci fa ammalare di rassegnazione
all’incredulità e al cinismo,
non sia connessa alla crisi dell’alleanza
tra uomo e donna”. Io credo che i
fenomeni di convivenza senza matrimonio
aumenteranno fin quando aumenterà
la perdita del senso religioso
della vita. Sono due fenomeni paralleli.
Solo quando le persone sentiranno
il bisogno di dare un senso trascendente
alla loro vita, il matrimonio potrà
acquisire un significato autentico
incarnandosi in nuove modalità».