PIETRO F. - Tanta gente fa la coda per ore per assistere a una gara sportiva, a uno spettacolo teatrale, ma se deve prolungare di cinque minuti la permanenza in chiesa, sospiri e lamentele...
Anche la celebrazione liturgica, sebbene a un livello assai più alto e con modalità e motivazioni assai diverse da quelle di uno spettacolo artistico o sportivo, è chiamata a essere un momento di intensa partecipazione interiore ed esteriore. Come ogni autentico gesto d’amore. Per questo la riforma liturgica del Vaticano II si preoccupa che «i riti splendano per nobile semplicità; siano chiari per brevità ed evitino inutili ripetizioni; siano adatti alla capacità di comprensione dei fedeli» (Costituzione sulla liturgia, 34). La celebrazione è chiamata a essere una gioia, non una noia e tanto meno un supplizio. Certe liturgie, o perché sciatte o perché sovraccariche di quella cerimonialità che emargina l’assemblea, non favoriscono il coinvolgimento emotivo e attivo di tutta la persona, che si sente costretta a subire e non vede l’ora che tutto finisca. È l’omelia che sovente costituisce un nodo problematico, sia per il tempo che per il contenuto. Papa Francesco ha ricordato più volte che essa non dovrebbe superare i dieci minuti. Come in tutti i rapporti umani, anche nella liturgia la qualità è più importante della quantità.