Sono un insegnante di scuola elementare ormai vicino alla pensione. Le scrivo per condividere con Lei alcune impressioni sull’ordine di scuola più alto, l’università. Avendo due figli che la frequentano, sono venuto a conoscenza di alcune situazioni che veramente scoraggiano lo studente che dedica quotidianamente tempo ed energie allo studio. Un esempio, gli appelli: ancor prima di fare l’esame il professore fa indirettamente capire che se qualcuno ha intenzione di iscriversi al secondo appello per cercare di migliorare il voto precedente, è bene che ci pensi perché non è scontato che si verifichi. Per non parlare dei test d’ammissione per le facoltà a numero chiuso. La Costituzione recita che tutti hanno il diritto allo studio. Perché allora non si dà la possibilità a tutti di accedere e si procede poi a selezionare nel corso dell’anno? Ho visto in questi anni rivoltare la scuola primaria, allora perché non intervenire in modo serio sull’università? La ringrazio per l’attenzione. ROBERTO
— Caro Roberto, da insegnante di lungo corso quale sei, hai sicuramente assistito ai tanti cambiamenti che, col passare degli anni, la scuola ha subito sia nel bene che nel male. Tante riforme si sono susseguite e ognuna ha modificato i diversi gradi di istruzione.
A onore del vero, anche l’università nel 2004 ha visto una vera e propria rivoluzione. C’è stata infatti la riorganizzazione dei corsi accademici con l’introduzione di due tipologie di cicli, la Laurea detta Triennale e, a seguire, la laurea detta Magistrale, che si consegue dopo altri due anni di percorso accademico. Ma, mentre i cambiamenti nel primo e nel secondo ciclo di istruzione hanno fortemente coinvolto oltre agli studenti anche i docenti, che hanno dovuto cambiare molti dei loro paradigmi pedagogici per andare incontro alle novità introdotte soprattutto in tema di inclusione, declinata nelle sue diverse sfaccettature, questo è avvenuto molto meno per l’università. Il docente universitario spesso non si sente un insegnante ma un professore e un ricercatore e mal sopporta di dover perdere il suo prezioso tempo, magari in secondi appelli.
Però credo e spero che il tempo dei baroni stia finendo e stia arrivando una nuova generazione di docenti che sapranno cambiare, anche nel rapporto con gli studenti, le nostre università. Per ciò che attiene il numero chiuso, sono pienamente d’accordo con te; la selezione, ad esempio per la facoltà di Medicina, andrebbe fatta alla fine del primo anno di studio sulla base degli esami effettivamente sostenuti e superati. Credo che i prossimi governi dovranno sicuramente intervenire in questo senso, anche perché si rischia di allontanare molti giovani da professioni importanti per lo sviluppo e la tenuta del Paese.