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lunedì 20 gennaio 2025
 
 

Pessina: «Questo non è un dono, ma un sacrificio»

11/04/2015  Già nel 2010 aveva espresso le sue perplessità rispetto al donatore "samaritano". Oggi, dopo che per la prima volta in Italia una donna a Milano ha deciso di donare un organo a uno sconosciuto, torniamo a chiedere al professor Adriano Pessina, Ordinario di Filosofia Morale e Direttore del Centro di Ateneo di Bioetica dell'Università Cattolica del Sacro Cuore l'origine delle sue contrarietà.

Già nel 2010 aveva espresso le sue perplessità rispetto al donatore "samaritano". Oggi, dopo che per la prima volta in Italia una donna a Milano ha deciso di donare un organo a uno sconosciuto, torniamo a chiedere al professor Adriano Pessina, Ordinario di Filosofia Morale e Direttore del Centro di Ateneo di Bioetica dell'Università Cattolica del Sacro Cuore l'origine delle sue contrarietà.   

Professor Pessina, è stato effettuato in Italia il primo trapianto di rene da donatore samaritano: una donna che, in vita, a Milano ha deciso di regalare un proprio organo a un ricevente sconosciuto. Cosa ne pensa?
«Per rispetto di questa donna io metterei l’accento sul tema del sacrificio e non del dono: farsi prelevare un organo da sano significa sacrificare la propria salute, parte del proprio benessere futuro, mettere a rischio la propria vita, per favorire l’efficacia della medicina. Un atto a favore della medicina e non del paziente, perché di fatto questa donna ha dichiarato di non aver legame di nessun genere con il ricevente. Quanto alla metafora del “dono” è bella, ma sempre un po’ fuorviante, perché non fa percepire il fatto che si crea un danno, una lesione permamente alla persona da cui si preleva l’organo sano. Fatte salve le buone intenzioni, ritengo però che non sia una scelta da incoraggiare: per guarire o curare non si devono creare situazioni patologiche. La via ordinaria deve essere quella del prelievo da cadavere. 

Nel 2010 discusse dell’opportunità di farne un parallelismo con la parabola dal Vangelo di Luca del Buon Samaritano. Perché?
«A differenza della filantropia, che è un amore per gli uomini in generale, la pratica samaritana si attua sempre in riferimento ad un singolo uomo concreto. La logica del dono e del sacrificio è sempre legata alla relazione personale, ai legami affettivi ed effettivi. In realtà, a mio avviso, la vera logica che governa questa difesa della “donazione samaritana” risponde all’idea che ognuno dispone come vuole del proprio corpo e al fatto che  alla medicina fa comodo di poter risolvere la questione in termini di procedure e consenso. Non c’era bisogno di utilizzare in modo improprio il Vangelo per avallare un impianto teorico che ha altre radici».

Quali sono i limiti/rischi che lei intercetta in questa pratica?
«In primo luogo non possiamo iniziare a pensare al corpo vivente come a una banca o una riserva di organi che la medicina ci chiede di mettere a disposizione per chi ne ha bisogno. Sullo sfondo c’è poi la nota teoria di origine liberale del corpo come proprietà dell’individuo, di cui può disporre a suo piacimento: in questa prospettiva, se è legittimo donare una parte del corpo non si vede perché non la si possa anche vendere. Chi invece si appella al divieto di commercializzazione del corpo - che a mio avviso rende problematica la stessa teoria della donazione “samaritana “ – parte dalla consapevolezza che ognuno di noi è – non semplicemente ha -  il proprio corpo e che ogni lesione e danno fatto al corpo è anche lesione e danno inflitto alla persona. Alle spalle di una tematica clinica si stagliano problemi antropologici prima ancora che etici »

Come reputa l’innesto dell’effetto a catena scatenato dalla scelta? Quello definito di Cross Over?
«Ovviamente l’effetto è positivo, perché permette di ottenere i risultati attesi, con una sorta di scambio degli organi prelevati da parenti e amici dei vari pazienti non direttamente compatibili. Ma sarei molto cauto a enfatizzare questa strada: il futuro della ricerca terapeutica deve andare in un’altra direzione, migliorare l’utilizzo degli organi da cadavere e abbattere la pratica dei prelievi da vivente »

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