Philadelphia, Usa
Dal nostro inviato
I gruppi di lavoro del Convegno internazionale di Philadelphia sulla famiglia si confermano una miniera sempre più ricca di gioielli da scoprire, e credo che dovremo esplorarla a lungo, nei prossimi mesi, quando il materiale verrà pubblicato sui vari siti.
Ieri, in particolare, è stata estremamente illuminante la presentazione di suor Sara Butler, una statunitense, che ha affrontato con grande serenità e precisione uno dei nodi culturali più controversi del nostro tempo: la differenza sessuale e la sua bellezza nella complementarietà. Una relazione pacata, precisa, che ha saputo leggere con grande attenzione le legittime esigenze di chi nega il valore della complementarietà tra i sessi, che il Magistero della Chiesa invece costantemente richiama.
Non pretendo di sintetizzare le varie argomentazioni sviluppate (davvero varrà la pena di rileggerle, comunque).
Quello che più mi ha colpito, piuttosto, è stata la descrizione della “cattiva complementarietà”, vale a dire il modo in cui lo stesso mondo cattolico non è stato capace di presentarla. Troppo spesso, infatti, si è dato della complementarietà una descrizione basata su stereotipi sociali, che è stata “androcentrica” (noi avremmo detto “maschilista”) e gerarchica. Per cui la complementarietà è stato spesso raccontata non come piena e totale simmetria tra l’uomo e la donna, uguali benché diversi, ma come “la donna complementare all’uomo”, e subordinata alla sua capacità di guida:
quindi l’uomo comanda, e sta sulla scena pubblica, la donna copre i buchi dell’uomo. L’uomo sarebbe, insomma, il modello base dell’umanità, e la donna una sua variante «inferiore» (uso, tra virgolette, le precise parole di suor Butler).
Invece uomo e donna si completano/complementano reciprocamente, in modo totalmente paritario e simmetrico, e «sono due modi per essere un corpo», entrambi pienamente soggetti, «uguali ma differenti, ma non inferiori».
Lottare contro alcuni pregiudizi sul maschile e femminile non significa quindi negare la differenza sessuale; anzi, togliere questi condizionamenti sociali sul maschio “leader” e sulla donna “a servizio” ci aiuterebbe a far splendere meglio la grande verità della complementarietà tra i sessi. Uomo e donna sono uno di fronte all’altro, e si aiutano reciprocamente a capirsi fino in fondo. E ognuno ha bisogno della differenza dell’altro, per capire se stesso fino in fondo. In questa prospettiva diventa davvero potente la provocazione lanciata alla fine dell’intervento: grazie a Giovanni Paolo II abbiamo dato un nome e una qualità al “genio femminile”. Ma chi ha mai provato a definire il “genio del maschile”? A noi uomini, maschi, mariti e padri, spetta per primi questo compito.
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Francesco Belletti è il direttore del Cisf (Centro internazionale
studi famiglia) e presidente del Forum delle associazioni familiari